Giornata mondiale contro la violenza sulle donne: prevenire, assistere, educare

In quasi 50 anni di storia di AVSI, la base principale di ogni attività è la centralità della persona. Individuare il bisogno reale delle persone e riconoscerne la loro unicità è la sfida che si pone in qualsiasi progetto di sviluppo. Questo è fondamentale anche quando si tratta il tema della lotta alla violenza sulle donne nel mondo.

Contributo di Dania Tondini e Annalisa Costanzo - Fondazione AVSI

L’Agenda 2030 dà grande importanza a questo tema dedicandovi uno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, il SDG5: “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Nell’esperienza di AVSI non è possibile prevenire, assistere, educare se non dentro la costruzione di una relazione nuova e alla pari tra le persone consapevoli della propria unicità e del loro valore positivo. AVSI ha imparato, nella molteplicità delle esperienze vissute, che il punto sorgivo di ogni processo di cambiamento, anche su un tema così delicato come quello della violenza di genere, non può prescindere dal riconoscimento di sé e della propria dignità come un bene che nessuna violenza può rimuovere. Riconoscere la propria dignità umana e le proprie potenzialità è fondamentale per costruire rapporti personali e familiari duraturi, costruiti sul rispetto reciproco e sulla fiducia tra uomo e donna e tra tutte le età, generazioni e generi.

In Burundi è in corso un progetto, finanziato dall’Unione Europea, volto a contrastare proprio la violenza sulle donne. Le attività principali riguardano la prevenzione, sensibilizzazione e offerta di assistenza alle vittime. Oltre a lavorare direttamente con le donne vittime di violenza, sono state coinvolte più di ottanta scuole per la creazione di “Club Stop GBV” (Gender Based Violence, violenza basata sul genere), che fanno sensibilizzazione anche attraverso video e fumetti. Il coinvolgimento di vari attori è un primo punto fondamentale: sia per garantire la più ampia diffusione di informazioni sul tema, sia per assistere le vittime con un approccio olistico (dalla fornitura di vitto e alloggio, all’assistenza psicosociale e accompagnamento ai centri medici; all’assistenza legale e della diffusione della nuova legge burundese per contrastare la violenza di genere) che non si limita a correggere un comportamento attraverso l’imposizione di regole e controlli, ma spinge verso un cambiamento di mentalità. La possibilità di superare la violenza di genere è più profonda del semplice “convincimento” dell’uomo a comportarsi diversamente; per sradicare ogni forma di violenza o abuso è necessario proporre una nuova mentalità che possa vedere e rispettare ogni individuo indipendentemente da sesso, età, classe, abitudine.

In Costa d’Avorio è in corso un programma di lotta alle mutilazioni genitali femminili (MGF) finanziato dall’Unione Europea, che mira a raggiungere 500 mila persone entro la fine del 2020. L’iniziativa mira a informare e sensibilizzare sul tema delle mutilazioni genitali, per far comprendere le conseguenze di questa pratica, in particolare sulla salute materna e infantile. La componente rilevante del progetto è data dal ruolo della società civile nell’accompagnamento psicologico, giuridico, medico ed economico di 500 donne e ragazze che hanno subito questa pratica.

L’azione prende in considerazione innanzitutto le vittime: le donne identificate vengono accompagnate attraverso le varie attività in modo che possano prendere coscienza della gravità di ciò che hanno subito, imparare a convivere con le proprie ferite e arrivando a impegnarsi attivamente nel prevenire le pratiche di MGF. Questa attività specifica con le donne, viene combinata all’attività di sensibilizzazione/formazione e comunicazione per il cambiamento di tutta la comunità: l’obiettivo è quello di diffondere messaggi chiari, precisi e pertinenti al fine di generare una reazione e consapevolezza tra le famiglie, i membri della comunità e tutta la popolazione presente nelle aree interessate. Vengono utilizzati per questo meccanismi e canali adeguati, compresi i canali di comunicazione tradizionali, i punti focali dei villaggi, l’uso delle lingue locali e la sensibilizzazione attraverso le trasmissioni radiofoniche e la drammatizzazione.

Al centro di questo progetto sono le organizzazioni della società civile che lavorano quotidianamente per migliorare il benessere delle vittime e si sforzano di contribuire all’eliminazione di questa particolare forma di violenza contro le donne. Il rafforzamento delle capacità della società civile locale è un elemento fondamentale dell’approccio di AVSI, che nasce dal principio di sussidiarietà. In effetti, rafforzare gli attori locali è un mezzo per contribuire alla sostenibilità, per garantire che le iniziative e gli impegni assunti nell’ambito del progetto non svaniscano con la fine del finanziamento internazionale ma che, al contrario, la rete di organizzazioni locali rafforzata nell’ambito del progetto continui a operare e a diffondere il proprio messaggio contro questo fenomeno.

Sempre sul tema della lotta alle mutilazioni e ai matrimoni precoci forzati, una interessante esperienza è in corso in Kenya, insieme a un partner locale, che cerca di far rimanere le ragazze a scuola e organizza il ‘passaggio all’età adulta attraverso un workshop di due giorni (analogamente a ciò che avviene per il rito) incentrato sul valore dell’educazione, sull’igiene, sulla consapevolezza di sé. Contemporaneamente, uomini e donne della comunità vengono sensibilizzati sul valore delle ragazze e sull’importanza di proteggerle.

Un aspetto decisivo nei progetti di sviluppo economico è il coinvolgimento dei mariti, in modo da legittimare la donna a gestire il lavoro e allo stesso tempo non causare frustrazione all’uomo, in una sorta di ‘condivisione del potere’ in modo che non sia solo la donna a guadagnare. Gruppi di risparmio e corsi di formazione per la gestione di piccole attività hanno portato risultati inaspettati nella riduzione delle violenze domestiche, riducendo la dipendenza economica dal marito nelle donne aumenta l’autostima e la fiducia.

Tutto questo significa partire dalla realtà e quindi avere una conoscenza profonda del contesto e della gente e tenere conto in modo intelligente della cultura locale.

Esempi di donne cambiate, consapevoli e desiderose di un passo in avanti per se stesse e i loro figli, le abbiamo viste anche in Uganda, nell’ambito del progetto SCORE, finanziato dall’agenzia americana USAID. Qui la prevenzione agli abusi avviene attraverso la costituzione di gruppo di risparmio e credito di villaggio dove l’80% dei membri è costituito da donne (un totale di 37.000 persone). Quando la famiglia si trova in condizioni difficili, è più facile rinchiudersi in un “isolamento”: le difficoltà indeboliscono la fiducia tra i membri della famiglia e il senso di appartenenza alla comunità. Tali circostanze contribuiscono a deteriorare il valore attribuito alle donne fino a lasciare spazio a violenze e abusi.

In questo progetto abbiamo puntato a sviluppare rapporti interni alle comunità, favorendo le relazioni con le istituzioni locali per garantire risposte sostenibili ai bisogni dei minori vulnerabili e delle loro famiglie. Le donne sono state protagoniste di questo progetto riuscito grazie al metodo dell’accompagnamento personalizzato e tagliato su misura della persona per portarla alla sua completa autonomia. In questo caso il rafforzamento economico è stato il mezzo di contrasto alla GBV: le donne alla fine del progetto erano confidenti nel prendere decisioni per loro stesse e la famiglia al punto di voler provvedere da sole a garantire, per esempio, l’accesso all’educazione per i propri figli. Promuovere una cultura in cui le donne hanno un ruolo e la possibilità di essere propositive della vita domestica, è un passo fondamentale per affrontare il problema alla radice.

Nei contesti di maggiore vulnerabilità, di povertà estrema o di migrazione, i rischi di violenza sono ancora più elevati. Pensiamo alla Repubblica Democratica del Congo, dove l’incertezza e la fragilità della vita personale e familiare porta spesso a situazioni di violenza.

In Sud Sudan la relazione tra GBV e conflitto è stretta a filo doppio, in caso di stupro lo stupratore è obbligato a sposare la ragazza e a pagarne la dote in capi di bestiame, spesso ottenuti razziandoli da clan vicini. Durante le razzie possono accadere altri stupri e altri omicidi, che verranno vendicati e “risistemati” con lo stesso meccanismo, causando conflitti tra clan e interni ai clan che durano decenni. Da diversi anni siamo impegnati in progetti di sensibilizzazione, corsi di formazione per ragazze, capacitazione delle autorità locali e attività per l’inclusione femminile.

In Libano siamo attivi nei campi rifugiati per la prevenzione della violenza e dei matrimoni precoci.

Ad Haiti lavoriamo per il rafforzamento delle associazioni di donne, per la fornitura di servizi medici (prevenzione dell’HIV, cure post-violenza, informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva) e attività generatrici di reddito, in particolare lavoriamo con ragazze coinvolte nelle bande armate. Per le bambine ‘schiave’ domestiche, un fenomeno molto diffuso dove allo sfruttamento lavorativo si aggiungono spesso abusi di ogni forma, cerchiamo di sensibilizzare le famiglie d’origine per prevenire l’abbandono e le famiglie di residenza per favorire la scolarizzazione.

L’educazione delle ragazze è una grande forma di prevenzione della violenza, le ragazze scolarizzate ritardano l’età del matrimonio, diventano più autonome economicamente, sono più consapevoli, nutrono ed educano i loro figli, con un effetto moltiplicatore straordinario. Ma anche questo non è scontato: serve sensibilizzare le famiglie e le comunità, adeguare gli spazi, avere attenzione ai dettagli (ad esempio fornendo gli assorbenti igienici in modo che le ragazze non si vergognino di andare a scuola durante il ciclo mestruale).

Un piccolo esempio accaduto di recente in Uganda. Il responsabile del progetto del Sostegno a Distanza, che da anni portiamo avanti in quel paese, si è accorto che alcune ragazze, che provenivano dalla stessa area e andavano nella stessa scuola, avevano smesso di frequentarla. È andato ad incontrarle per capirne il motivo e ha scoperto che durante il tragitto che le separava da casa rischiavano di subire molestie. Ha quindi proposto alle ragazze di partecipare a un corso di arti marziali per insegnare loro forse non a difendersi ma almeno a divincolarsi. Con sorpresa di tutti le ragazze, entusiaste di aver scoperto in loro nuove possibilità, hanno invitato a loro volta altre amiche e il gruppo si è allargato notevolmente. Con il tempo hanno anche cambiato il loro atteggiamento: soprattutto le ragazze che prima si dimostravano più timide, hanno acquisito maggiore fiducia in se stesse e quindi il coraggio ad esprimersi su altri problemi e bisogni. Un'attività semplice ha permesso loro di sprigionare una nuova consapevolezza di sé, al punto che è stato possibile cominciare a lavorare con loro anche su temi molto delicati come quelli legati all’igiene e la salute personale.

Per concludere, occorre sempre partire dalla realtà, dalla cultura locale, dalla vita quotidiana, identificando le vie migliori in ogni specifica situazione, cercando di valorizzare i punti positivi esistenti e di mobilitare quanti più attori possibili in questo impegno, integrare azioni diverse coinvolgendo tutti i soggetti di una comunità, donne e uomini, aggregazioni della società civile, istituzioni, imprese, centri educativi. Anche le leggi migliori per essere efficaci devono essere accompagnate da un cambiamento di mentalità, dalla esperienza diretta e personale della riscoperta di sé, del proprio valore e del valore delle altre persone.