Una fotografia di terreno
AVSI è orgogliosa di definirsi un’organizzazione di terreno o dell’ultimo miglio, perché è convinta che ogni progetto per essere efficace, per cambiare in meglio la vita delle persone, inizia e finisce sul terreno, accanto ai nostri beneficiari. Ed è dal terreno, nell’incontro con i bisogni reali, che nascono anche ogni proposta di policy e ogni intervento nel dibattito pubblico, come questo stesso evento.
Crediamo che sia dal confronto costante con la realtà che il nostro lavoro prende senso.
Dal terreno inizia anche il mio intervento.
Scelgo una fotografia di Haiti, tra i 39 Paesi in cui operiamo, ma potrebbe essere simile anche in Kenya, Sud Sudan, Congo o Siria: condivido un’istantanea che sintetizza che cosa noi intendiamo per approccio all’emergenza e allo sviluppo, per noi sempre connessi.
Il nostro staff è operativo ad Haiti anche ora, quando molte ong e agenzie internazionali hanno scelto di lasciare il Paese. In queste settimane accade questo: le bande controllano diversi quartieri, le strade sono chiuse da barricate. Il nostro staff si muove in jeep. Ma un certo punto le barricate impediscono alla auto di muoversi.
Allora si fermano? No.
Il personale scende dall’auto e sale in moto e percorre un altro pezzo di strada superando le barriere, per raggiungere i nostri centri.
Poi però si trovano le strade allagate dalla pioggia, perché montagne di immondizia hanno intasato i canali di scolo. Lo staff si ferma allora? No, si infila gli stivali e prosegue a piedi.
Attraversa canali, passo dopo passo, e arriva dai bambini e dalle loro famiglie che li attendono.
Questa fotografia evoca il titolo del nostro incontro, che è lavoro ordinario di AVSI: Beyond Development.
Noi proviamo a spingerci sempre più in là, a spostare il confine oltre le barriere, di attraversarle. Le barriere delle bande, delle diseguaglianze, della povertà, delle guerre.
Questo è quanto vorremmo porre a tema oggi in questa giornata di learning event, come lo abbiamo chiamato: un evento per imparare tutti, in occasione del nostro anniversario, verso dove va e deve andare la cooperazione per essere efficace.
La domanda di futuro
Nell’affrontare la domanda sul futuro, che non possiamo più eludere, bisogna tenere conto di più fattori, di ecosistemi complessi e interconnessi, di velocità diverse. Fronteggiamo crisi diverse, alimentare, climatica, economica e altre dimenticate, che necessitano di azioni e risposte globali.
Nessuno si salva da solo, cioè nessuno costruirà da solo il proprio futuro. Non esistono “progetti” (vincenti) che non esigano partnership, alleanze, il coinvolgimento di una pluralità di stakeholder. Non esistono più risposte che non siano un contributo ad un “sistema” più ampio, che portino innovazione e soluzioni non convenzionali.
Non esiste più l’aiuto al singolo, ma va pensato per tutta la comunità.
Ognuno di noi in questo può giocare un ruolo nella costruzione di soluzioni concrete e percorribili, al servizio del bene comune, in grado di porre al centro la dignità di ogni essere umano e rendere in questo modo raggiungibile lo sviluppo (dalle esperienze sul field all’Institution building).
È fondamentale in questo coinvolgere le nuove generazioni.
La passione per l’uomo
Le crisi prolungate nei paesi, la pandemia, la guerra in Ucraina e il suo impatto a livello mondiale hanno cambiato la gerarchia dei valori delle persone e imposto una nuova velocità di azione: siamo verificati sulla capacità di reazione ai cambiamenti e sul valore che diamo a quei comportamenti che favoriscono il raggiungimento degli obiettivi organizzativi senza perdere di vista il benessere delle persone.
Crediamo che le persone siano il nostro primo asset. La complessità in cui operiamo richiede molte competenze tecniche aggiornate e trasversali ma più di tutto le “humanity skills”: per fare bene questo lavoro, per essere professionisti che fanno la differenza, siamo invitati a usare tutta la nostra umanità perché la materia del nostro lavoro è l’uomo.
La storia dei nostri 50 anni è una storia di incontri umani.
Nell’enciclica Fratelli Tutti, papa Francesco esorta a «rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza. Se ciascuno vale tanto, bisogna dire con chiarezza e fermezza che il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore dignità».
Nella promozione di tale valore assoluto si è innestata la nostra origine, dalla quale continuiamo ad attingere l’energia per procedere.
Approccio integrato e sistemico
Di qui deriva la necessità che l’approccio nel nostro lavoro sia integrato e sistemico: non c’è separazione nell’uomo, allo stesso modo le risposte al suo bisogno non possono essere frammentate. Ciò richiede integrazione e collaborazione anche di tutti gli attori coinvolti nello sviluppo fino ai governi dei paesi in cui operiamo; richiede sussidiarietà, co-programmazione, co-progettazione, co-implementazione, accompagnamento. Mai paternalismo ma invito al protagonismo.
Come le crisi climatica e sanitaria hanno definitivamente evidenziato, l'efficacia degli interventi di cooperazione allo sviluppo e di emergenza dipende fortemente dall'applicazione di un vero approccio sistemico a bisogni, problemi e soluzioni. Sebbene persistano approcci settoriali, anche tra le agenzie internazionali, le analisi monodimensionali sono destinate a descrivere parzialmente, e quindi inefficacemente, una questione.
La fine del noi/loro
Il contributo che tutti noi possiamo offrire è innanzitutto promuovere la coscienza comune che la divisone “noi /loro” è morta sepolta.
Oramai le esperienze e le capacità che una ONG ha maturato in Africa e altrove sono utili anche nei paesi di origine (lo vediamo in Italia dove realizziamo progetti simili a quelli in Africa o Medio Oriente); questo implica un cambiamento delle ong ma anche della politica e apre a possibilità immense.
Mentre la realtà ce lo comunica continuamente, gli approcci, i finanziamenti e molta retorica sono ancora pensati come l’aiuto di una parte verso l’altra.
La cooperazione si sta già muovendo per cambiare questa direzione di marcia, ma occorre fare molto di più. Tante organizzazioni e donatori con la scusa di avere “mandati specifici” lavorano poco per “costruire” una risposta solida ai problemi nelle diverse situazioni, troppo spesso si limitano a fare un piccolo pezzo, per poi lasciare la situazione sostanzialmente immutata. La conseguenza è che le crisi diventano cicliche e ripetute.
Il settore privato
Occorre sostenere i soggetti del settore privato che vogliano investire nei paesi ad alto rischio. Vanno sensibilizzati e supportati, con misure adeguate, ma il riconoscimento dell’importanza del loro ruolo deve essere promosso anche all’interno del mondo della cooperazione.
Il futuro che vogliamo
Allora, riprendendo il sottotitolo del nostro evento, qual è il futuro che vogliamo? È quello in cui tutti possano vivere in società coese, in comunità in cui il forte protegga il debole, i cittadini lavorino con i governi per il bene di tutti, le persone si preoccupino le une per le altre. Dove l’apatia, l’individualismo e l’indifferenza non siano di casa.
Il futuro che vogliamo è quello in cui le conquiste e le nuove continue scoperte e i passi avanti nell’educazione, nella sanità, nella tecnologia, nella tutela dell’ambiente siano accessibili a tutti, a servizio della crescita di tutti, dalla persona singola alla sua famiglia e comunità per allargarsi al mondo intero.
Siamo qui per imparare come procedere insieme