Trenta milioni di bambini soli, orfani o senza famiglia. E solo due su cento trovano posto in qualche struttura. Parli dell’India e i numeri sfuggono subito di mano, è una scala di grandezze lontana da quella a cui siamo abituati. Tocca fermarsi e pensare, per rendersi conto che quei bambini senza casa sono più di mezza popolazione dell’Italia. Una marea. Aggiungeteci la povertà, la fame, un analfabetismo che resta oltre il 20% e per le donne arriva al 29,7% (dati Unesco), e il quadro si fa ancora più scuro.
La violenza sulle donne in India: una minaccia per migliaia di ragazze
Abbiamo migliaia di ragazze che per mancanza di mezzi, smettono di studiare e finiscono chissà dove. Se va bene, nel lavoro minorile. O vengono spedite all’estero: Qatar, Arabia Saudita, Emirati…Ma per tante di loro il destino è un altro: prostituzione, schiavitù, traffico di organi. Noi vogliamo cambiare tutto questo e contribuire alla prevenzione della violenza sulle donne e bambine in India. Vogliamo dare loro una chance.
Parole di padre Don Bosco Darsi, 43 anni, dal 2009 sacerdote della Diocesi di Vijaywada, stato dell’Andhra Pradesh. E dal 2019 fondatore e anima di Talitha Cumi Unnati, un centro educativo che raccoglie 240 ragazze della zona di Gunadala, vicino alla costa est del gigante asiatico. India rurale, profonda. Come i bisogni di chi viene ospitato tra queste aule, dove le attività seguono quattro filoni: "Educazione, mentoring, prevenzione e protezione". Ma la prima parola che dice don Don Bosco, quando le spiega, è sheltering, rifugio. "Le ragazze hanno tra i 9 e i 24 anni, alcune stanno crescendo qui, altre sono appena arrivate". Per tutte, è più di una scuola. È una casa. Mandata avanti da otto persone che ci lavorano fisse, più una ventina di volontari. E aiuti che arrivano anche da lontano: Talitha Cumi, quest’anno, è tra i progetti finanziati dalla Campagna Tende di AVSI.
I fondi serviranno a finanziare attività molto diverse. "Corsi di artigianato, computer, agricoltura", spiega padre Don Bosco: "Ma anche supporto personale e vocational training. L’idea di fondo è creare un impatto positivo più largo, mirato alla persona". Le ragazze arrivano attraverso una rete di contatti e solidarietà: "Si tratta di giovani che rischiano di restare ai margini, escluse per sempre: per la povertà, le caste o la loro fede. Cerchiamo di capire dove c’è più bisogno, quali sono i casi di emarginazione più spinti. A volte ce le porta la polizia. Altre volte arrivano dalla parrocchia".
La violenza sulle donne in India può assumere innumerevoli forme. Spesso si tratta di mettere fine ad abusi, di ogni tipo. O di provare ad aprire alternative a una vita segnata già da piccole. "Per esempio, cerchiamo di prevenire i matrimoni precoci. Qui per le ragazze sposarsi a 14-15 anni è abbastanza normale, ma spesso è l’unica strada per cercare di sfuggire al traffico di esseri umani". Da questa zona partono almeno 4.500 giovani all’anno, spedite come pacchi, o quasi, in Medio Oriente: finiscono a lavorare nelle case, a volte peggio. "Tante volte queste ragazze arrivano che hanno già perso la speranza. Noi proviamo a ridargliela".
Chi è Don Bosco, fondatore del centro Talitha Cumi Unnati
Famiglia povera, altri quattro tra fratelli e sorelle, "Don Bosco" è il nome che si è scelto per il Battesimo, arrivato dopo aver incontrato dei sacerdoti del Pime in missione nella sua zona nativa, il villaggio di Thukkuluru. "Cosa mi ha attirato? Parlavano dell’amore di Dio e della dignità della persona. Nella società indu, se sei in una casta bassa non hai dignità. Il cristianesimo è un’altra cosa. Sei fatto a immagine di Dio, Genesi 1,26. In fondo, è la cosa più importante che proviamo a comunicare a queste ragazze: “Sei qualcosa di grande, puoi diventare una persona meravigliosa”.
È diventato sacerdote presto, come suo fratello Jeeva (morto di Covid nel 2020). "Ero toccato dalla figura di don Bosco, dalla sua passione per i giovani e l’educazione. La vocazione è venuta da lì, e pure il nome. Anche se so che in Italia suona strano, “don Don Bosco”…" Sorride, don Don Bosco, mentre racconta dei suoi trascorsi europei. Ha studiato a Lovanio, in Belgio: Teologia morale. "Da lì mi sono portato via delle idee molto pratiche sulla solidarietà, sul bene comune, sull’insegnamento sociale della Chiesa. Qui in India abbiamo ancora il sistema delle caste, è normale che i poveri siano lasciati ai margini: senza educazione né protezione. Il traffico sta crescendo molto in fretta. Non so se ha visto The Sound of Freedom, con Jim Caviezel: non è ambientato da noi, ma racconta bene il fenomeno". "Da loro", aggiunge, la sfida è ancora più dura.
Le persecuzioni contro i cristiani in India
Alle barriere che ostacolano la vita delle ragazze se ne aggiunge un’altra: "Le persecuzioni contro i cristiani. Negli ultimi anni ci sono state 350 chiese bruciate. Vuol dire comunità che restano senza il loro cuore pulsante: le scuole, gli aiuti. C’è una legge anti-conversione che è terribile, molto feroce. E si guarda ai cristiani come se non fossero patrioti. È come se accusassero voi cattolici in Italia di non essere bravi cittadini". Che impatto ha sul vostro lavoro? "Sei sempre sotto osservazione. È pericoloso. Ma devi farci i conti. Un posto come Talitha Cumi serve anche a questo, a dare coraggio alle comunità. Con il nostro lavoro proviamo a costruire la pace. E a far diventare queste ragazze ambasciatrici di pace".
Nella stretta anticristiana del Governo sono finite anche le scuole. Quelle cattoliche, in zona, sono state chiuse, perché non permettono pratiche indu. "Le ragazze dobbiamo mandarle alle scuole pubbliche. Molte non vogliono andarci. A volte per i traumi che hanno subito: preferiscono imparare un mestiere, come cucire. Altre sì: abbiamo molte di loro che studiano da infermiere, per esempio". In entrambi i casi, il fattore chiave è l’educazione. "La loro vita diventa migliore. E più stanno qui, più sono al sicuro: sono protette, imparano".
Don Don Bosco racconta la storia di ragazze per cui il Centro è diventato un "gamechanger", un fattore che cambia il gioco. È successo a Sindu, che si è diplomata da infermiera e ora lavora, si guadagna da vivere. "Se non fosse andata così, probabilmente oggi sarebbe in Qatar." O a Swati, uscita dalla scuola appena finite le medie.
La famiglia vorrebbe che si sposasse prima possibile, per salvarla dal traffico. Ma lei oggi lavora e si mantiene. Ed è più libera di scegliere. Le ragazze vogliono libertà. Con il nostro aiuto, possono diventare infermiere, ingegneri, insegnanti. Questo può cambiare tutto.
C’è un’altra parola biblica che don Don Bosco usa spesso, come acronimo: "Amen. È il nome del programma sociale che seguiamo. “A” sta per Accompaniment, “M” per Mentoring: le seguiamo una per una". “E” sta per Education ed Empowerment, che qui sono quasi sinonimi. E la “N”? "Networking. Facciamo rete con la gente che lavora come noi. È fondamentale. E uno dei nodi più importanti di questa connessione è l’AVSI. Mi ha colpito molto vedere come lavorano in Africa, Sudamerica e in altre parti del mondo". La sintonia è figlia di un legame nato proprio negli anni di Lovanio, dove don Don Bosco ha incontrato gente di Comunione e Liberazione. "Celebravo le messe per la Scuola di comunità di lì. Mi hanno invitato al Meeting di Rimini. Lì ho conosciuto Davide Prosperi, che mi ha proposto di venire a La Thuile, all’Assemblea internazionale dei responsabili. Sono venuto per due anni, mi hanno chiesto di parlare dell’India. E lì è nato il contatto con AVSI".
Ci aggiunge anche quello di un altro suo "fratello nella fede", Joseph, "qui in parrocchia ha iniziato un gruppo di Comunione e Liberazione". Di don Ambrogio Pisoni che appena può passa a trovarli. E chissà quanti altri se ne affiancheranno, in queste settimane di cene, iniziative e collegamenti Zoom. Ma lui, oltre ai fondi da raccogliere, che cosa si aspetta dalle Tende? Don Don Bosco ci pensa un attimo. E poi: "Di fare un’esperienza. Di fede e di pace".