La situazione dei rifugiati burundesi in Sud Kivu
A seguito delle violenze post-elettorali del 2015 in Burundi, migliaia di burundesi hanno cercato rifugio in Repubblica democratica democratica del Congo, principalmente nella provicia Sud Kivu. A quasi 10 anni di distanza molti rifugiati non hanno accesso ai servizi essenziali.
Secondo le stime dell'Unhcr (maggio 23),nella Repubblica Democratica del Congo vivono 45.234 rifugiati e richiedenti asilo burundesi. Di questi, 32.886 vivono nel campo profughi Lusenda e nell’insediamento Mulongwe, mentre circa 5.078 risiedono fuori dai campi, in insediamenti formali in diverse aree e città del Sud-Kivu: Lemera, Ruzizi, Uvira e Nundu.
Gli aiuti umanitari si sono rivolti principalmente agli ospiti dei campi, dove le organizzazioni internazionali si sono occupate di fornire accoglienza, servizi sanitari, acqua, servizi igienici, nutrizione, istruzione e protezione.
Il progetto PAMOJA si rivolge ai burundesi che vivono fuori dai campi e alle comunità ospitanti (7000 persone) per fornire una risposta ai bisogni di base, favorire la coesione sociale e aiutare i minori ad accedere all’educazione. Un’attenzione particolare è rivolta alle adolescenti a rischio di violenza di genere.
Con l'Unione Europea accanto ai rifugiati burundesi e alle comunità ospitanti
Il progetto PAMOJA, della durata di 30 mesi, mira a integrare i rifugiati burundesi che vivono nelle comunità ospitanti, utilizzando un approccio olistico per garantire la sostenibilità a lungo termine. L’iniziativa è realizzata da AVSI in collaborazione con l'International Rescue Committee e l’organizzazione locale Conseil des Organisations Féminines Agissantes en Synergie e grazie al sostegno dell’Unione europea.
Obiettivi principali del progetto PAMOJA
- Promuovere la coesione sociale e l'integrazione: il progetto mira a rafforzare la coesistenza pacifica con un approccio Problem Driven Iterative Adaptation*. L'iniziativa prevede il coinvolgimento di 1.200 autorità locali, della società civile e degli attori impegnati nell’assistenza dei rifugiati nella ricerca collaborativa di soluzioni locali per migliorare la coesione sociale e la convivenza pacifica.
- Promuovere il diritto a un’educazione di qualità ai bambini vulnerabili. Il progetto mira a sensibilizzare 9.000 genitori sui temi dell’inclusione e della parità di genere, riportare a scuola 800 bambini, fornire corsi di recupero scolastico a 2.700 bambini, formare 320 insegnanti e direttori.
Ciò comporta la fornitura di kit didattici, la riabilitazione di 32 scuole per integrare i bambini non iscritti e l'offerta di assistenza finanziaria condizionata a 120 famiglie per garantire il pagamento della retta scolastica dei minori. - Migliorare le condizioni socio-economiche delle famiglie vulnerabili: il progetto mira ad accrescere le competenze in agricoltura di 800 capifamiglia e a creare 15 associazioni di risparmio e credito di villaggio per aumentare le entrate e i risparmi dei nuclei famigliari coinvolti.
- Favorire l’integrazione socio-economica dei giovani vulnerabili: 60 ragazzi e ragazze tra i 15 e i 25 anni non iscritti a scuola avranno la possibilità di frequentare corsi di formazione professionale.
- Rafforzare la leadership femminile: 1.440 donne verranno coinvolte in attività per sostenere la loro partecipazione alla vita della comunità e ai processi decisionali nell'ambito della governance locale.
- Promuovere l'uguaglianza di genere: 200 donne verranno coinvolte in attività per rafforzare il loro potere economico e decisionale nella propria famiglia e nella comunità, e verranno sostenute organizzazioni comunitarie guidate da donne.
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(*Il Problem Driven Iterative Adaptation (PDIA) è un approccio per “imparare facendo” che aiuta le organizzazioni a sviluppare la capacità di risolvere problemi complessi mentre li stanno effettivamente risolvendo)