Ucraina, la guerra dagli occhi di chi è partito

Nel febbraio del 2022, molti rifugiati ucraini si aspettavano che la guerra finisse nel giro di poche settimane. Tre anni dopo, com’è la vita di chi è fuggito? Marina Nakhimova, racconta il suo viaggio e la sua nuova vita a Milano, tra ricordi e speranze  

Di tutte le cose di cui poteva dimenticarsi nella fuga da Charkiv, Marina ha lasciato a casa l’apparecchio per i denti. Nella fretta non ci ha pensato: ha preso qualche vestito, alcune fotografie della madre e del figlio diciottenne, e due libri, il Vangelo e Il libro della giungla, il suo preferito. Ma l’apparecchio è rimasto nell’armadietto del bagno. Lo spazio in valigia era poco, i vestiti sarebbero dovuti bastare per poter stare qualche settimana al sicuro, lontana dai bombardamenti, in attesa che la situazione rientrasse. Marina Nakhimova, ucraina, ancora non sapeva che quelle settimane sarebbero diventate anni.

Il Consiglio Europeo ha infatti approvato la proposta di prorogare fino al 4 marzo 2027 la protezione temporanea per i rifugiati ucraini, una misura speciale che l’UE ha attivato all’inizio della guerra per permettere a chi fuggiva di ottenere subito un permesso di soggiorno, il diritto a lavorare e l’accesso all’assistenza sanitaria e scolastica nel nuovo Paese. La sua proroga preannuncia un prosieguo della guerra per il prossimo paio d’anni.

Dall’inizio del conflitto, 4.2 milioni di persone sono fuggite dall’Ucraina e hanno raggiunto l’Unione Europea, ottenendo lo status di protezione temporanea. Di questi, 166 mila si sono fermati in Italia, sesta tra i Paesi che hanno accolto i migranti ucraini. La Polonia è prima.

Quando Marina è partita aveva 42 anni. Oggi ne ha 45, vive a Milano e parla fluentemente l’italiano. La sua vita è cambiata radicalmente nel giro di pochi mesi. Dall’inizio della guerra, a febbraio 2022, le è servito un mese per convincersi a partire. Il figlio, Vladi, la incalzava ad andarsene, ma la convinzione che il conflitto sarebbe terminato presto la faceva resistere. A bloccarla c’erano i sensi di colpa per la madre malata di tumore, che voleva restare — convinta che solo in Ucraina avrebbe potuto curarsi — e per la sua gatta, Fortuna, adottata due settimane prima dell’inizio del conflitto e chiamata così per il modo di dire “fare fortuna”, comune anche in Ucraina.

Si è convinta a partire solo dopo che una bomba è caduta davanti a casa sua, nell’aprile del ‘22. L’impatto le ha fatto sbattere la testa, causandole delle mini amnesie di cui tutt’oggi soffre, dimenticandosi date e codici telefonici. Grazie a un autista ha raggiunto la città di Užhorod, al confine tra Slovacchia e Ungheria. Qui ha fatto la volontaria per un paio di settimane alla Croce Rossa, distribuendo farmaci, acqua e sostegno ai feriti. Poi è arrivata l’occasione di partire per l’Italia in pullman e Marina ha scelto di andare, ancora convinta che sarebbe stata una soluzione di qualche mese, tanto da decidere di non portare con sé la gatta Fortuna e di affidarla a un vicino insieme a 1.437 grivni, l’equivalente di 30 euro. Era sicura che quei soldi sarebbero bastati per le buste di croccantini nel tempo in cui sarebbe stata via.

“Quando sono partita avevo solo 300 euro con me. È stato tutto veloce. Le banche non funzionavano più e non si poteva prelevare. Non ci avevo mai pensato e non avevo abbastanza contanti di riserva per affrontare una situazione del genere. Non ero sicura di partire, ma mio figlio insisteva perché me ne andassi. Solo dopo ho capito perché ci teneva così tanto — racconta Marina —. Appena sono andata via, si è arruolato volontariamente nell’esercito. Sapeva che con me lì si sarebbe distratto. Mentre una volta che io ero al sicuro, poteva concentrarsi sul suo lavoro. Non ho potuto fare nulla per fargli cambiare idea. Anche mia madre e mio nonno erano militari, e credo faccia parte della nostra famiglia, e di mio figlio in particolare, questa vocazione.

Durante il viaggio in autobus verso l’Italia tante madri piangevano, io non ce la facevo. La rabbia che provavo all’inizio era diventata appiattimento, disorientamento, apatia. Come se non potessi più sentire nulla, incerta su quello che sarebbe potuto succedere”.

Marina Nakhimova

La scelta di venire in Italia non è stata casuale, ma motivata dalla passione che Marina ha sempre avuto per la storia e per Luciano Pavarotti, il suo cantante preferito. Tuttavia, senza conoscere nessuno e senza sapere l’italiano, i primi mesi a Milano sono stati complessi. “Per i primi due anni sono stata in un centro per rifugiati e non è stato semplice. Mi mancava avere una mia indipendenza, una macchina o uno spazio dove abitare da sola”.

A Milano ha lavorato come baby sitter e operaia, ogni volta con contratti a termine o in nero, fino a quando, a ottobre 2024, Marina ha perso la madre e ha deciso di tornare in Ucraina per assistere al suo funerale. Dopo più di due anni di assenza ha rivisto il figlio, ancora arruolato, e ciò che era rimasto del suo Paese.

“Quando ho camminato sulla mia terra — racconta — mi sono messa a piangere toccando il terreno. Mio figlio mi ha detto che mi stavo comportando come una bambina. Quando ho visto che cosa hanno portato via i bombardamenti, la mia università Alma Mater dove ho studiato a Charkiv, la mia macchina, tutto distrutto. Mi è venuta nostalgia”.

Marina è rimasta in Ucraina circa un mese. Quando è tornata in Italia è stato come ricominciare tutto da capo: il posto dove dormiva non c’era più e poco tempo dopo è terminato anche l’ultimo contratto che aveva con un ristorante. È in questo contesto che, grazie a un passaparola, ha scoperto AVSI for Community, dove è stata indirizzata nella ricerca della casa e del lavoro.

L'hub di viale Monza

Il centro è uno spazio multiservizi nato a Milano nel 2022 per far fronte all’arrivo dei profughi ucraini e fornire in un unico luogo tutte le informazioni necessarie. Avendo una mediatrice che parla ucraino, AVSI for Community è diventato presto un punto di riferimento per la comunità ucraina. Nel 2023 ha aperto le sue porte anche a migranti e richiedenti protezione internazionale provenienti da altri paesi. Ogni anno offre servizi a circa 4.000 persone.

Come racconta Stefano Sangalli, responsabile del centro, la situazione lavorativa dei rifugiati ucraini è particolare: in Italia la comunità ucraina era già molto ampia prima dello scoppio della guerra - secondo l’Istat, nel 2021 si attestava al 4,9% di tutta la popolazione straniera - e per le persone arrivate, con una rete di conoscenze già presente, è stato più semplice trovare lavoro.

“Questo ha aumentato le possibilità di inserimento nel mercato nero, principalmente nel settore domestico, alberghiero o delle costruzioni, dove si lavora a chiamata. Inoltre, accedendo al lavoro attraverso delle conoscenze, l’apprendimento della  lingua non è più una condizione necessaria. Chi inizia a studiare l’italiano lo fa perché esiste un progetto migratorio più ampio e ha la volontà di restare sul territorio. Nel caso delle persone che fuggono da contesti di guerra, questa progettualità spesso è assente”.

Stefano Sangalli, responsabile AVSI for Community

“Per i rifugiati ucraini la sfida attuale è quella di uscire da una situazione di emergenza e trovare stabilità, perché un’emergenza per definizione non può durare all’infinito — spiega Mario Porcelli, presidente della San Martino Servizi, partner di AVSI for Community —. Ancora oggi riceviamo richieste di primo permesso da chi arriva dall’Ucraina. Non sono numeri altissimi, ma la gente continua a scappare, soprattutto i genitori che si ricongiungono con chi era già partito”.

Al momento l’attività principale del centro è quella di gestire i rinnovi e convertire i permessi di protezione speciale in permessi di lavoro, che garantiscono una maggiore stabilità e rappresentano il primo passaggio per un inserimento nel tessuto sociale italiano più duraturo. “Molti ucraini sono incerti se chiedere la conversione per un permesso di lavoro — aggiunge Porcelli — perché non sanno se e quando torneranno”.

“Come AVSI quello che cerchiamo di fare è offrire una risposta personalizzata a ciascun bisogno. Le richieste sono varie e meritano risposte diverse. Per fare questo tipo di lavoro è necessaria una sinergia con altre organizzazioni, con il Comune e con il territorio, perché ogni ente ha una propria specializzazione, perciò una volta capita la situazione della persona si può rimandarla ai servizi specializzati, per offrire la soluzione migliore”.

Veronica Guidotti, project manager di AVSI all’interno del centro

Oggi Marina dice di stare bene. La proroga fino al 2027 della protezione temporanea è per lei un sollievo. Le speranze iniziali che la guerra potesse finire presto, nel frattempo, sono sfumate. “Ci sono periodi in cui piango pensando a quello che ho perso. Adesso so che hanno bombardato un palazzo vicino a casa mia. Mi fa male. Poi mi calmo e penso che non è una tragedia per le cose, ma per le persone. Ho paura per mio figlio, non per la casa. Il dolore più grande della mia vita è stato quando mia madre è andata via. Ma così è la vita”.

Marina sta ancora andando all’hub per ricevere aiuto nella ricerca di un nuovo lavoro. Nonostante la figura esile, le piacerebbe trovarlo nel campo della sicurezza, magari come guardia giurata in un negozio o in un centro commerciale. “Prima però — scherza — devo migliorare con la lingua e riuscire a parlare senza accento”.

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