Perché prendersi cura? Lucia Castelli, Focal Point AVSI per la protezione dell’infanzia, alla MedConference

Lucia Castelli è stata una delle relatrici della MedConference di Minneapolis il 6 ottobre. Il suo intervento integrale.

Data 09.10.2023
Autore di Lucia Castelli, AVSI consulente per la protezione dei bambini

Il cuore della professione medica - il rapporto tra paziente e curante - è troppo spesso ridotto a un processo meccanico. La natura stessa dell'assistenza medica è a rischio perché la cura del paziente è ridotta alla sola cura del suo essere fisico.

Accelerata dalla pandemia, la cultura della medicina sta cambiando. L'American Association of Medicine and the Person ha organizzato la MedConference 2023 a Minneapolis (USA) per scoprire o riscoprire la bellezza di praticare la medicina. Tra i relatori Lucia Castelli, entrata in AVSI come pediatra e oggi Senior Child Protection Advisor di AVSI.

Perché prendersi cura? Desideri, circostanze, eventi, incontri con le persone

Anche se la finestra è la stessa, non tutti quelli che vi si affacciano vedono le stesse cose. La veduta dipende dallo sguardo.

Alda Merini

Introduzione

Nei corsi di medicina frequentati all'università sono stata educata a vedere la realtà del paziente in un certo modo. Durante la mia esperienza in Africa e nel mondo ho appreso ad avere un altro sguardo.

Durante gli anni da me trascorsi in Africa, l'università cambiò modo di insegnare: venne data più importanza alle tecniche e agli esami, aumentarono le specializzazioni - anche in un campo come la pediatria ci sono tante sub specializzazioni - e lo studio approfondito di un particolare è diventato più importante di una panoramica olistica e dell’approccio al paziente.

Sono queste le contraddizioni e le sfide vissute da cui ho imparato di più sulla malattia e su come affrontare la mia professione medica in generale, e i pazienti in particolare.

Perchè sono diventata un medico

Penso che ognuno di noi, da quando ha scelto questa professione, abbia nel profondo del cuore il desiderio di “prendersi cura”, di essere utile all'altro essere umano che incontra. Ho espresso il mio desiderio di diventare medico e di andare in Africa a lavorare quando avevo 10 anni! Sono una persona piuttosto determinata, sicura di ciò che vuole. Ma nella vita, per raggiungere i propri obiettivi, non è necessario soltanto avere desideri e seguirli, ma fonderli con circostanze, eventi e incontri con persone, fatti a cui aderisci e attraverso i quali cresci.

Il mio desiderio di diventare medico si è realizzato all'età di 24 anni. Ho iniziato come medico di medicina generale, poi sono diventata pediatra e ho lavorato nel reparto pediatrico di un ospedale generale e in un ambulatorio territoriale.

La mia esperienza in Africa

Il mio desiderio di andare in Africa ha dovuto aspettare fino all'età di 38 anni, per le circostanze della mia vita. E sono molto felice di aver dovuto aspettare, perché ho iniziato la mia avventura africana con una maturità umana e professionale che non avrei potuto avere a 24 anni, subito dopo la laurea.

Ruanda

L'occasione (l'evento...) è stato il genocidio in Ruanda nel 1994. Un mio amico, pediatra come me, era il presidente di AVSI, una ONG internazionale, conosceva il mio desiderio e aveva un bisogno: trovare una pediatra per l'orfanotrofio di Nyanza, un orfanotrofio gestito dai Padri Rogazionisti, dove, durante il periodo del genocidio, molti bambini furono abbandonati dai genitori per salvarli dalla morte…

Ho risposto ad una domanda: questo è sempre il metodo giusto per una buona risposta, anche nel nostro lavoro. Il vero problema molte volte è capire la vera domanda, chiedersi da dove viene la domanda, qual è il vero bisogno dietro la domanda... questo è diventato chiaro nella mia prima esperienza in Ruanda.

Un mio amico, prima di partire mi ha detto: ricordati che non vai in Ruanda per salvare i bambini, vai da loro per scoprire il senso della tua vita… Ho scoperto che l’importanza della mia vita e del mio lavoro non stava nelle competenze che avevo ma nella mia presenza. Ero importante per i bambini perché ero lì, non per quello che facevo. È emersa chiaramente l'importanza della relazione con i bambini pazienti, come primo punto per prendersi cura di loro.

Alcuni esempi

I bambini piccoli dell'orfanotrofio erano i più difficili da gestire. Non volevano mangiare, piangevano in continuazione. Abbiamo così deciso di organizzare le casette dove i bambini vivevano e dormivano in modo diverso, non divisi per fasce di età, come erano, ma mettendo insieme i bambini più grandi con i più piccoli e dando ai più grandi la responsabilità di essere “madri e padri” per i più piccoli. La situazione è cambiata e i più piccoli hanno iniziato a mangiare e a stare più tranquilli! Una cosa così semplice! Una cosa così importante! La relazione, la presenza di qualcuno che si prende cura di te è importante per guarire! La risposta ad un bisogno essenziale, come quello di avere da mangiare, non è data solo dalla presenza del cibo, ma dalla presenza di una persona che ti dà da mangiare!  

Qual era il vero bisogno dietro i sintomi e i segni che vediamo? Ho capito l'importanza di comprendere cosa accadeva nel loro corpo, nella loro mente, nella loro famiglia e nella loro comunità.

Insieme agli amici che erano lì con me (Giovanni, Annet) abbiamo sviluppato uno specifico programma psicosociale di reinserimento per bambini traumatizzati dalla guerra, basato sulle Linee Guida sulla Salute Mentale e il Supporto Psicosociale in Situazioni di Emergenza dello IASC (Inter Agency Standing Committees) ma sviluppato con l’approccio del "mondo della persona”…..

(Esempio del bambino con la ferita in testa provocata da un machete). Un bambino di 10 anni, che viveva vicino all'orfanotrofio, veniva ogni giorno nella mia clinica per una brutta ferita alla testa provocata dai ribelli con un machete. Medicavo la ferita ogni giorno, usavo antibiotici ecc., ma non c'era alcun miglioramento. Ho discusso la questione con il mio amico Giovanni, psichiatra, che aveva iniziato a tenere gruppi di terapia per il disturbo da stress post-traumatico con i bambini dell'orfanotrofio e abbiamo deciso di proporre a Eric (non è il vero nome del bambino) di avere un quaderno e iniziare scrivendo quello che avrebbe voluto raccontarci e poi lo abbiamo invitato a partecipare ai gruppi organizzati nell'orfanotrofio. In breve tempo la ferita si rimarginò!

Uganda

Dal 1997 al 2012, con alcuni anni di andata e ritorno dall'Italia, ho lavorato per AVSI in Uganda, nel nord Uganda per il reinserimento dei bambini soldato e poi per un grande progetto a favore degli orfani e dei bambini vulnerabili in Uganda, Ruanda, Kenya e Costa d'Avorio.

Nel 1993 AVSI ha iniziato ad operare anche nel campo dell'emergenza, per rispondere ai bisogni della popolazione locale e dei sudanesi in fuga dalla guerra nel loro Paese e che cercavano rifugio nel distretto di Kitgum, al confine con il Sudan. Si tratta di un’emergenza non acuta ma di lungo periodo, come ormai accade per molte crisi internazionali, che crea nuovi bisogni anche nella popolazione locale. La società civile è completamente devastata dai massacri compiuti dai vari gruppi ribelli – Nile Bank Front, Uganda National Rescue Front II, Lord's Resistance Army (LRA) – che attaccano la popolazione civile per creare terrore, saccheggiano i centri sanitari, attaccano villaggi, i centri commerciali, i campi profughi, le scuole e gli insegnanti per colpire le giovani generazioni, ma soprattutto rapire i bambini per addestrarli a diventare “soldati”. Circa il 60% dei “soldati” dell’LRA sono bambini di età inferiore ai 16 anni. La loro strategia è gestirli e obbligarli con brutalità in modo che, a loro volta, possano torturare e uccidere altre persone. Le ragazze adolescenti vengono date ai ribelli come “mogli”. Le autorità locali stimano che tra il 1993 e il 2006 l'LRA abbia rapito oltre 50.000 bambini nei quattro distretti del Nord Uganda. Solo la metà dei bambini rapiti è riuscita a fuggire e tornare a casa. Dal giugno 1997, sempre sostenuta dall'Unicef, AVSI ha avviato nel distretto di Kitgum un programma di sostegno psico-sociale, caratterizzato da un approccio globale, prestando particolare attenzione ai bisogni dei bambini e dei gruppi più vulnerabili. Obiettivo principale del progetto è ripristinare la salute mentale e psicologica del bambino, partendo dal presupposto che il trauma subito dai bambini in tali situazioni può influenzare in modo irreversibile il loro sviluppo psicofisico. Le attività espressive svolte con i bambini, singolarmente o in gruppo, sono fondamentali per rielaborare le loro esperienze di vita, ritrovare ragioni e reinserirsi in un percorso di vita. I bambini possono così recuperare la fiducia in se stessi, l'autostima e la consapevolezza delle proprie capacità.

Il progetto OVC

Progetto OVC. I nostri bambini di valore. L'attenzione è rivolta ad ogni singolo bambino o ragazzo e alla sua storia di vita, desiderando innanzitutto ascoltarlo e condividere (perché no) il suo lutto, trasmettendogli la fiducia in una speranza per il futuro e proponendo un reinserimento scolastico o in idonee attività lavorative. Il rapporto che si instaura tra beneficiari e operatori umanitari in situazioni di crisi è quindi fondamentale per ogni azione che abbia a cuore non solo di garantire assistenza di emergenza ma anche dare possibilità di crescita e di sviluppo futuro.

In Uganda ho continuato a imparare: l’importanza della “pace nella mente” per la salute mentale, e, per la salute dei bambini, l’importanza di esprimere sentimenti, emozioni, desideri ad una persona di cui fidarsi, l’importanza di relazione, l’importanza di lavorare su se stessi. Partire da se stessi e considerare i propri bisogni e desideri. Conoscersi e scoprirsi per essere pronti ad andare incontro all'altro.

Italia 2012 -2016

Di nuovo nello stesso ospedale dove lavoravo prima di partire per l'Africa, ma con colleghi tutti nuovi, giovani, preparati, con più competenza di me…più competenza tecnica, meno competenza umana. Il paziente è un corpo fatto di pezzi: il paziente non c'è più, ci sono solo i suoi pezzi.

Nel 2016 mi sono recata in Libano come Responsabile di uno dei progetti più importanti di AVSI a sostegno della comunità siriana: “Back to the future”, sostenuto finanziariamente dal fondo fiduciario regionale dell'Unione Europea per rispondere alla crisi siriana, il Madad, realizzato da un consorzio di ONG composto da AVSI, Terre des Hommes Italia e War Child Holland. Il progetto mira a promuovere il reinserimento scolastico e a sostenere la frequenza scolastica dei bambini rifugiati e vulnerabili che vivono nelle comunità locali in Libano e Giordania. Attraverso questo progetto abbiamo potuto entrare in relazione con migliaia di famiglie, con le loro vite e i loro infiniti bisogni in un contesto che non si può definire solo come una situazione di crisi prolungata ma che sembra essere una crisi senza fine! Ho incontrato persone diverse da me per cultura, religione, lingua, status sociale...ma che avevano il mio stesso desiderio di vivere e avere una vita dignitosa e felice.

Il progetto si prende cura dei bambini ma, fin dall'inizio, avvia il rapporto con il caregiver, i genitori, i fratelli e le sorelle maggiori che spesso hanno la responsabilità dei bambini, con la famiglia allargata. Nel rispondere ai bisogni educativi, non possiamo dimenticare la famiglia e, innanzitutto, non possiamo evitare di considerare il contesto sociale e l'ambiente in cui le famiglie vivono. Attraverso il nostro rapporto con gli adulti siamo in grado di intraprendere azioni nei confronti dei bambini e favorirne l'educazione e la crescita.

Ciò che ho imparato lavorando in situazioni difficili, nei conflitti, durante crisi prolungate in vari paesi del mondo, è che la cosa più importante è esserci: accompagnare le persone, condividere parte del loro destino, perché la ferita peggiore è quella di una persona che ha un grande bisogno e che già soffre per il senso di abbandono, ma che viene dimenticata.

Ma, innanzitutto, l’incontro con persone che hanno le nostre stesse esigenze e dignità, che chiedono di essere ascoltate e di essere considerate, principalmente, come persone e di poter essere parte di una relazione umana, è ciò che restituisce loro dignità e speranza. La relazione fa parte del COME si svolgono le azioni. Considerare questa relazione come “l'azione” che deve essere maggiormente custodita nel lavoro, significa considerarla il punto di successo di ogni azione. E questo vale in ogni angolo del mondo.