Da quando operiamo in Ucraina sono morti 429 bambini e 808 sono stati feriti, e più di 2900 centri educativi sono stati bombardati, 580 dei quali sono stati distrutti.
I bambini ucraini. Pensiamo a loro per primi in questo anniversario. Stanno pagando un prezzo inaccettabile e non possono essere dimenticati, neppure per un istante.
A loro vanno dedicate le risorse principali, perché sono il presente e il futuro dell’Ucraina e di tutti noi. Non possiamo più pensarci separati dai più vulnerabili del mondo, i nostri destini sono uniti. E questo implica investire subito tutte le risorse possibili in interventi che permettano ai bambini di credere che un domani buono per loro è una realtà possibile.
Il contesto e l’impatto della guerra sui diritti dei bambini
In Ucraina, come già in Ruanda dopo il genocidio, in Uganda con i bambini soldato, in Congo, in Kenya, in Costa D’Avorio, in Sud Sudan, nel Balcani e nel Medio Oriente, abbiamo visto e sperimentato che è possibile stare dalla parte dei bambini e difenderne i diritti a due condizioni: in primo luogo prendendo in considerazione i loro bisogni in modo integrale, perché non si possono frammentare il bisogno di cure mediche e psicologiche, attenzioni e gioco, cibo, riparo e soprattutto educazione; in secondo luogo pensandoli inseriti nella loro comunità, nelle loro reti di famiglia, amicizia, affetti: si può creare un ambiente sicuro per loro solo se si attivano tutte le componenti della loro comunità.
Da quando operiamo in Ucraina, un anno ormai, sono morti 429 bambini e 808 sono stati feriti, e più di 2900 centri educativi sono stati bombardati, 580 dei quali sono stati distrutti. Esponendo i bambini a terribili atrocità, la guerra ha causato in loro un trauma il cui impatto si misurerà nei prossimi anni, ma va affrontato da subito, a partire dalle esigenze quotidiane. I bambini ogni giorno sperimentano gli effetti della mancanza di energia, di connessione internet e di riscaldamento, che blocca le loro attività scolastiche, mentre gli allarmi costanti li destabilizzano e impediscono loro di incontrarsi per giocare e socializzare.
Che fare dunque? Mentre rispondiamo a tutte le emergenze che servono a salvare loro la vita, non trascuriamo mai di fare tutto il possibile per garantire loro di accedere all’educazione, adottando un approccio multistakeholder e soluzioni innovative, collaborando con le realtà locali, che hanno diretto accesso ai bambini e alla conoscenza di ciò che a loro serve. Se non hanno la possibilità di andare a scuola, perché insicura o distrutta, cerchiamo di creare per loro degli spazi comuni e sicuri per accedere alla didattica a distanza, almeno, creando luoghi in cui si possano trovare con i coetanei e in cui l’accesso all’elettricità e al servizio digitale sia garantito. Riabilitiamo, dove i bombardamenti lo permettano, le scuole e gli edifici educativi: riportare i bambini a scuola significa restituire loro un minimo di normalità nel disastro della guerra, un’isola di pace.
Creiamo spazi dove si possano incontrare tra loro per giocare senza ansia, paura, anche solo per un po’, e dove possano trovare educatori capaci di sostenerli a livello psicosociale, di elaborare con loro la paura che li accompagna. Formiamo insegnanti ed educatori, garantiamo loro strumenti, kit e risorse per entrare in dialogo con i più piccoli. Gli insegnanti ed educatori sono sulla linea del fronte anche loro, vanno accompagnati per essere capaci di tenere testa alla sfida dell’educazione in emergenza che sempre comporta stress infinito.
Sosteniamo i genitori e le famiglie con progetti specifici: sono loro i primi educatori e caregiver, ma sono feriti e bisognosi anche loro. Se sostenuti possono tornare ad essere una risorsa per i più piccoli, una sicurezza da cui ripartire. Collaboriamo con le autorità e le organizzazioni locali, in modo che si costruisca un ambiente amico dei bambini, solidale e consapevole. Attiviamo comunità in cui sperimentare che l’altro può essere un bene, non sempre e solo un nemico. Promuoviamo azioni di advocacy in tutto il mondo: deve diventare di tutti la consapevolezza che il destino dei bambini ucraini è strettamente legato a quello dei nostri figli e al nostro. Che non possiamo pensarci al sicuro noi, se altri non lo sono. La pace è di tutti o di nessuno.
L'intervento di Giampaolo Silvestri all'High Panel delle Nazioni Unite "Gross Human Rights Violations Due to the Aggression Against Ukraine”
(Da 1:02:12)
*Questo articolo è stato pubblicato dal Corriere della sera mercoledì 22 febbraio