Sviluppo e Migrazioni: AVSI su Corriere e Avvenire

La conferenza internazionale su Sviluppo e Migrazioni promossa dall’Italia domenica scorsa a Roma ha segnato un punto importante di un percorso dal quale non possiamo chiamarci fuori.

Paesi Italia
Data 25.07.2023
Autore di Giampaolo Silvestri, Segretario Generale AVSI

Su iniziativa del Governo italiano, domenica 23 luglio si sono riuniti a Roma, presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, i leader di quasi tutti gli Stati della sponda Sud del Mediterraneo allargato, del Medio Oriente e del Golfo, gli Stati Ue di primo approdo e alcuni partner del Sahel e del Corno d’Africa, i vertici delle Istituzioni europee e delle Istituzioni finanziarie internazionali, per affrontare le emergenze e lanciare una strategia di sviluppo condivisa.

"La conferenza internazionale su Sviluppo e Migrazioni promossa dall'Italia - ha dichiarato Giampaolo Silvestri, Segretario generale AVSI - ha segnato un punto importante di un percorso dal quale non possiamo chiamarci fuori. Vogliamo dare credito a questa nuova possibilità di partnership Europa-Italia-Africa ed è per questo che ho provato a illustrare come e perché in un'intervista al Corriere della Sera e in un articolo su Avvenire"

Il Futuro di Italia, Europa e Africa passa (anche) dalla Cooperazione

L'intervento di Giampaolo Silvestri, segretario generale AVSI su Avvenire

Il summit su sviluppo e migrazioni di domenica scorsa va letto come uno dei passi significativi che l’Italia sta compiendo nell’ambito delle relazioni internazionali. Meritano di essere letti insieme, perché si configurano come tappe di un processo dall’alto potenziale per la forza generativa che potrebbe esercitare in tutto il sistema del nostro Paese, quando si libera da riduzioni sovraniste e dalla posizione di fortezza che tira su muri di difesa.

Un primo fatto: poche settimane fa, per presentare la candidatura di Roma a Expo2030, tra i testimonial chiamati a promuoverla è stato convocato anche un rappresentante della Cooperazione allo sviluppo. Una scelta che ha indicato come ormai questa sia riconosciuta come asset della nostra politica estera, con progetti da 6 miliardi di euro all’anno per milioni di persone.

Un secondo fatto: la conferenza internazionale di domenica che, con leader africani e del Golfo, ha ufficialmente lanciato il processo di Roma verso un piano con l’Africa.

Consci di tutti i limiti di tale impresa, continuando a vigilare per la tutela della dignità della persona umana in ogni contesto, noi vogliamo dare credito a questo nuovo percorso: l’ambizione di avviare una nuova partnership con l’Africa.

Questa è la parola chiave dello sviluppo: i destini di Italia, Europa, Mediterraneo e Africa sono interconnessi. Non esiste più quella distanza noi/loro, per la quale c’è qualcuno che aiuta qualcun altro. O cresciamo insieme, in un mutuo scambio, oppure entrambi perdiamo.

Per rendere autentica ed efficace tale partnership, auspichiamo che l’Italia punti su un approccio integrato, sistemico e multistakeholder, fondato sull’integrazione e collaborazione di tutti gli attori coinvolti nello sviluppo (istituzioni, organizzazioni della società civile, imprese, università, settore privato). Tale approccio richiede sussidiarietà, co-programmazione, co-progettazione, co-implementazione.

In questi mesi si è creata nel dibattito comune una grande curiosità attorno al Piano che prende il nome da Mattei. Provocatoriamente sosteniamo che le sue fondamenta ci sono già, occorre solo riconoscerle e scalarle. Sono i progetti di sviluppo che stanno funzionando, e che vanno fatti crescere, in programmi strutturali su breve, medio e lungo termine. Anche molte risorse sono già a disposizione: usiamole, mettendole a sistema. Basti pensare al Fondo per il Clima: ha una dotazione di 4.8 miliardi di euro, prioritariamente in Africa e nei Paesi selezionati per interventi volti a contrastare il cambiamento climatico e favorire l’accesso all’energia sostenibile. Ma attende di essere utilizzato.

Soprattutto auspichiamo che si investa in educazione e in formazione professionale connessa alla domanda del mercato del lavoro. Anche di questo esistono dei modelli che funzionano, come quello della San Kizito di Nairobi, la scuola di formazione professionale sostenuta dalla cooperazione italiana, visitata dal Presidente Mattarella pochi mesi fa: ha formato decine di migliaia di giovani, con tassi altissimi di inserimento lavorativo. Sul modello San Kizito si potrebbe creare un fondo di durata pluriennale per fare scale up e upgrading di centri di formazione professionale già esistenti nei Paesi prioritari per la Cooperazione italiana e in quelli da cui viene il maggior numero di migranti, con attività di adeguamento delle attrezzature didattiche, di aggiornamento degli insegnanti, di collaborazione con le imprese.

Partiamo da ciò che funziona, avanziamo insieme in questo processo. Ne verrà bene comune.