Se le scuole sono il simbolo di un paese, in Libano che in sei anni ha vissuto una colossale crisi economica, la distruzione del porto della sua capitale, il covid e una guerra, questo è ancor più vero.
A qualche mese dalla fine del conflitto, ma con le bombe che continuano a bersagliare i quartieri sciiti di Beirut e il sud del Paese, gli istituti scolastici stanno tornando ad accogliere studenti. Dal confine meridionale alle zone attorno alla capitale, queste strutture si presentano come lo Stato stesso: a pezzi, ma con la determinata volontà di tornare alla normalità.
Ricominciare
È risoluto lo sguardo di Nada Mokdad, da otto anni preside della Haret Saida Public School a Sidone, a sud di Beirut. ll suo istituto durante i mesi della guerra è stato utilizzato come rifugio per gli sfollati e una volta riaperte le porte ha dovuto fronteggiare l’avvio delle attività, con tutti i limiti umani e strutturali imposti da anni di crisi economica e mesi di guerra.
Il conflitto ha colpito duramente i ragazzi soprattutto dal punto di vista psicologico. Ne parlano sempre, raccontano della fuga, delle paure. E abbiamo notato un incremento della violenza nei comportamenti anche nei momenti ricreativi.
Nada Mokdad, preside della Haret Saida Public School di Sidone
Non solo la guerra
Ancor prima dell’ultimo conflitto, però, i giovani libanesi hanno visto susseguirsi eventi che hanno logorato il loro diritto allo studio. Secondo una ricerca del Centre for lebanese studies dell’Università di Cambridge, dal 2018 ad oggi i bambini libanesi hanno perso più di 760 giorni di scuola: intere annualità che compromettono il futuro di un’intera generazione.
Dal 2019 il crack economico che si è abbattuto sul paese ha generato una crisi energetica che ha imposto alle strutture pubbliche, come le scuole, spese esorbitanti per restare aperte.
I pannelli solari per le scuole
Nei mesi scorsi, l’istituto di Haret Saida, assieme a numerose altre strutture, è stato dotato di un sistema di pannelli solari che rende sostenibili le spese dell’energia in un paese in cui i fondi pubblici destinati all’educazione sono ridotti all’osso e sono garantite solo 2 ore di energia pubblica al giorno.
Prima spendevamo 500-600$ di gasolio per il generatore per avere la corrente, ma da quando è stato installato il sistema solare abbiamo potuto usare i soldi risparmiati per sistemare la scuola e aprire anche delle classi per i bambini dell’asilo
Nada Mokdad, preside della Haret Saida Public School di Sidone
L'iniziativa fa parte del progetto “Education for the Future”, sostenuto dalla Farnesina e dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Dotare le scuole di pannelli solari significa poter garantire più luce al giorno e, di conseguenza, anche un'offerta scolastica più ricca, con corsi prescolari, di alfabetizzazione e di sostegno psicologico.
Il progetto AVSI in un anno e mezzo ha aiutato 5.514 persone, di cui 4.494 bambini di età compresa tra i 5 e i 14 anni.
“Dal 2017 la cooperazione italiana ha stanziato 70 milioni di euro per sostenere i progetti educativi in Libano”, spiega Alessandra Piermattei, titolare della sede AICS di Beirut.
La quarantena del sistema educativo
A neanche un anno dallo scoppio della crisi economica, il Libano ha dovuto fronteggiare due nuove “calamità”. La prima a livello globale con la diffusione della pandemia di Covid, la seconda è l’esplosione del porto di Beirut, nell’agosto del 2020 , che nel giro di pochi minuti ha distrutto le risorse alimentari del paese e lasciato senza casa 300mila persone.
In questo contesto, il sistema educativo, già colpito dalla crisi, è andato in frantumi tanto che si stima che i bambini libanesi negli ultimi sei anni abbiano perso circa il 60% del loro percorso scolastico e che dal 2019 siano 700mila gli studenti che hanno abbandonato gli studi.
“I problemi sono iniziati già nel periodo del Coronavirus con l'istruzione on line - spiega Rima, preside della Khraj al Baysareye school nel sud di Sidone -. Molte famiglie sono numerose e con 3 o 4 figli è difficile far seguire tutti i corsi. Inoltre, non c’è copertura wifi, e il 3G si consuma velocemente, quindi tutti i ragazzi che in quel periodo hanno iniziato gli studi si trovano con enormi lacune”.
“Il programma che sosteniamo si concentra sulla riabilitazione delle scuole anche attraverso l'autonomia energetica, ma soprattutto intende combattere la dispersione scolastica e l'educazione non formale per favorire i processi di scolarizzazione. Per farlo Avsi ha puntato sull'e-learning: quando il conflitto ha imposto la chiusura delle scuole, abbiamo creato dei contenuti didattici fruibili tramite WhatsApp, un sistema che ha trattenuto i ragazzi durante il conflitto evitandone l'abbandono scolastico".
Gianpaolo Gullotta - AICS Beirut Team Leader Education
La situazione per studenti palestinesi e siriani
Se quella dei giovani libanesi è una situazione disperata, peggiore è quella di centinaia di migliaia di siriani che sono fortemente limitati nell’accesso alle strutture pubbliche, come le scuole, e sono ancora più impattati dagli effetti della crisi. Leggermente diversa la condizione dei rifugiati palestinesi che, invece, possono studiare nelle scuole dell’Agenzia delle Nazioni Unite Unrwa (circa 65) o in istituti privati.
AVSI porta la scolarizzazione anche a giovani siriani e palestinesi che, altrimenti, non avrebbero la possibilità di andare a scuola, attraverso programmi di educazione non formale, con corsi di matematica, inglese e arabo.
Speranze per il futuro
La sensazione di precarietà cui la storia recente ha abituato il popolo libanese è bilanciata da un’ostentata capacità di riparare. Una febbrile attività per ristabilire, passata la crisi, le basi di un vivere normale.
Un’insegnante che prima della crisi guadagnava tra i 1600 e i 1800 euro al mese, ora arriva a malapena a 300 tanto che qui l’adagio che guarda all’insegnamento come “a una missione” ha più senso che altrove. Perché se le scuole sono lo specchio di un paese, i loro studenti ne rappresentano il futuro.
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Estratto dall'articolo "Il Libano della tregua torna a scuola. In viaggio negli istituti nel sud del paese che provano a rialzarsi dopo la guerra e sei anni di crisi economica" pubblicato da Repubblica il 7 aprile.