Dalla Siria all’Iraq, Intisar: «Sogno di riabbracciare mio padre»

Abbiamo accompagnato la giornalista Alessia Arcolaci di Vanity fair nel campo di Bardarash, vicino a Duhok, in Iraq per incontrare i rifugiati siriani in fuga dalla guerra coinvolti in un progetto sostenuto da Aics.

Paesi Iraq
Data 15.03.2023
Autore di Alessia Arcolaci - Vanity Fair. Foto di Massimo Berruti

Intisar stringe gli occhi e si copre il volto con le mani. Ricordare la sua terra, la Siria, fa troppo male. Soprattutto per chi, come lei, che oggi ha 28 anni e vive nel campo di Bardarash, vicino a Duhok, in Iraq, non se ne sarebbe mai voluto andare. 

Dodici anni dopo lo scoppio delle prime manifestazioni in strada a Damasco, il 15 marzo 2011, la Siria è ancora un Paese devastato dalla guerra e martoriato di recente dal sisma che nella notte tra il 5 e il 6 febbraio ha spaccato in due la terra in parte della Turchia e nelle regioni settentrionali siriane.

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Scene dall'interno del campo profughi di Bardarash, dove risiedono rifugiati interni e per lo più siriani dopo che i loro villaggi sono stati coinvolti o attaccati dai militanti dell'ISIS durante l'occupazione tra il 2016 e il 2018. Foto di Massimo Berruti

Mentre è seduta all'interno della tenda dove vive con i suoi due bambini e la sorella insieme ai suoi altri due figli, Intisar non riesce a fermare le lacrime. «Ad Hassake, la nostra città, ci sono ancora i miei genitori. Loro sono anziani e non se ne vogliono andare da casa. Per loro è impensabile morire in un luogo diverso dalla Siria. Il mio pensiero è sempre rivolto a loro. E mi chiedo se mai li rivedrò. Riabbraccerò mio padre?». È questo il dolore più grande che Intisar si porta dentro. Da Hassake è arrivata viaggiando a piedi e in autobus insieme a suo marito e ai loro bambini. Lui, da quando sono stati accolti nel campo di Bardarash ogni giorno cerca lavori alla giornata per guadagnare qualcosa e poter continuare il viaggio verso l'Europa con la sua famiglia. Insieme alla guerra, è arrivata l'occupazione di alcuni territori da parte dei miliziani dell'Isis e Intisar ha avuto paura. Così sono scappati. 

Mentre i suoi bambini gattonano e camminano accanto a noi, Intisar ci accompagna fuori dalla tenda e ci mostra il suo luogo del cuore. È un piccolo orto che ha trovato lo spazio di crescere in mezzo a tutta quella sofferenza. Intisar mi prende la mano e indica le piante che crescono. Sorride, finalmente. «Qui sono felice. Spesso mi siedo qui accanto, guardo le verdure crescere, mi scaldo al sole e ripenso alla nostra vita di prima. Quella in mezzo alla natura, nella nostra casa in campagna, con i nostri terreni da curare ogni giorno». Questo piccolo orticello sembra quasi stonare dentro al campo, per quanto sono forti e accesi i suoi colori, per quanto sono rigogliose le piante al suo interno. 

Intisar non è l'unica ad averne uno. Sono diverse le famiglie che hanno potuto lavorare un pezzetto di terra qui dentro e coltivare le proprie verdure. È stato possibile grazie al progetto finanziato dall'Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS): AVSIche lavora in Iraq federale e KRI dal 1991, si è unita insieme a COOPI e CESVI in un consorzio per garantire il sostegno alle popolazioni più vulnerabili nelle aree geografiche identificate come le più bisognose di assistenza. Fuori dal campo di Bardarash, il progetto si occupa di fornire sostegno agli imprenditori agricoli sia a livello materiale che tecnico, unendo momenti di formazione per l'utilizzo ragionato e sostenibile delle risorse idriche per lo sviluppo agricolo. 

L'Iraq è un Paese che da sempre conta sulla propria produzione agricola. A causa dell’occupazione dell'ISIS e della crisi idrica nel paese, il settore ha sofferto fortemente. 

Tante famiglie che durante l’occupazione avevano dovuto abbandonare le proprie terre non sono più state in grado una volta tornate di riavviare la propria produzione: il bestiame era stato rubato o ucciso, le attrezzature distrutte, le terre bruciate. Il supporto ricevuto è stato essenziale perché i piccoli proprietari terrieri riuscissero a rialzarsi.

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Scene dall'interno del campo profughi di Bardarash, dove risiedono rifugiati interni e per lo più siriani dopo che i loro villaggi sono stati coinvolti o attaccati dai militanti dell'ISIS durante l'occupazione tra il 2016 e il 2018. Foto di Massimo Berruti

«Spesso regalo la verdura anche ai nostri vicini qui intorno. Nel campo siamo come una grande famiglia», continua Intisar. «Non ho più niente della mia vita di prima, quando siamo arrivati qui avevamo una tuta e un cambio per i nostri bambini. Sogno di tornare nella mia Siria ma mi chiedo quale futuro potrò dare lì ai miei figli. E io stessa, cosa farò? Può sembrare una cosa strana ma questo piccolo orto, in questi mesi, mi ha ridato un'occupazione reale, mi fa sentire attiva. È come se tutta la vita di prima non fosse davvero andata perduta».