Il sentimento che prevale è la stanchezza per una guerra che ha stremato il Paese, che fa vivere gli uomini nella paura di una chiamata al fronte, che lascia dolore e sofferenza nei bambini e nelle famiglie traumatizzate dalla violenza e dalla morte dei loro cari in combattimento.
Un contesto, quello dell'Ucraina, in cui, al di là del conflitto e delle sue distruzioni, c’è molto da ricostruire dal punto di vista umano.
È quello che stiamo facendo attraverso i centri comunitari e i progetti, soprattutto per i minori, allestiti negli insediamenti più piccoli, dove servizi e aiuti umanitari arrivano più difficilmente.
I progetti al fronte sud-orientale
Siamo in diverse regioni nella zona sud-orientale: Donetsk, Dnipro, Kharkiv, Sumy, Zaporizhzhia, Nikolaev, Kherson e Odessa.
I nostri ambiti di intervento rimangono soprattutto l’educazione e la protezione dell’infanzia. Inizialmente eravamo impegnati in attività di assistenza umanitaria, quindi nella distribuzione di generi alimentari, kit per l’inverno e sanitari; ora questo approccio ha cercato di adattarsi a una prospettiva più di lungo periodo. Abbiamo così affinato il modello dei centri comunitari.
Come funzionano i centri comunitari che AVSI ha allestito
Entriamo in contatto con le singole municipalità, spostandoci dai centri urbani più grandi e preferendo quelli meno raggiunti da servizi e aiuti umanitari.
Chiediamo ai comuni di utilizzare una scuola o una biblioteca, in cui interveniamo prima sistemando la struttura, con particolare attenzione alla messa in sicurezza e alla messa a norma dei rifugi antibomba, intervenendo sull’impianto di aerazione e di riscaldamento o sulla connessione internet. Tutto questo per poter attivare una serie di servizi di ambito educativo.
Qui ci occupiamo di doposcuola, supporto alla didattica a distanza, corsi di recupero, con la presenza di insegnanti, ma anche di attività psicosociali, oltre che di vera e propria assistenza psicologica. Ci sono attività ricreative e percorsi per i bambini e per le famiglie, di supporto alla genitorialità, pensati per contesti di emergenza come questi.
Abbiamo ristrutturato 31 scuole, inclusa la messa a norma dei rifugi antimissile. Sono stati istituiti 20 centri comunitari e, nelle primissime fasi della guerra, abbiamo supportato 33 centri per sfollati interni. In tre anni di attività possiamo dire di aver raggiunto comunque un numero ormai significativo di persone: parliamo di 25mila bambini.
In alcune situazioni siamo molto vicini ai combattimenti, comunque in un raggio di 50 chilometri. Il limite consentito è 30 km. Agiamo in centri molto piccoli, in zone rurali: molti ucraini sono rientrati dai Paesi limitrofi, ma non sono ancora tornati nei loro luoghi di origine, preferendo restare, per il momento, nei grandi centri.
Le conseguenze di tre anni di guerra
Tre anni di conflitto pesano un po’ su tutti i nuclei familiari; non c’è quasi più nessuno che sia rimasto indenne, che non sia stato toccato direttamente. Ci sono famiglie separate perché i padri sono stati chiamati al fronte, orfani e quindi nuclei in cui il capofamiglia è diventato la mamma.
Anche i pochi veterani che tornano, perché purtroppo ormai è molto difficile essere congedati, sono persone molto segnate dal punto di vista psicologico, e questo ha un enorme impatto su tutto l’ecosistema familiare.
Negli ultimi anni è molto cresciuto il problema della violenza domestica, piuttosto che dell’alcolismo, che già erano comunque presenti anche prima nella società ucraina. Teniamo conto, poi, che nelle aree così vicine al fronte le scuole sono sempre rimaste chiuse.
In Ucraina si può parlare veramente di un’emergenza educativa, con problemi di apprendimento e anche a livello psicologico.
Il trauma della guerra sui minori
Nei centri comunitari i bambini, oltre al doposcuola e alle lezioni a distanza, nel pomeriggio possono ritrovarsi in piccoli gruppi, ma la chiusura delle scuole e i problemi in famiglia hanno ripercussioni anche sulla loro salute mentale: fanno molta fatica anche a stare insieme tra loro.
Per questo cerchiamo di creare delle opportunità, con la guida di educatori e psicologi, che siano in grado anche di aiutare le famiglie. Lo facciamo con Resilience, un’associazione di psicologi italiana con cui AVSI collabora anche in altri contesti di emergenza: sono venuti diverse volte in Ucraina, lavorando con psicologi del posto.
Bombe e paura della leva, gli ucraini sono stanchi della guerra
Quello che percepisco dai nostri collaboratori ucraini è una grande stanchezza: il Paese è sfinito. Occorre trovare un accordo. Tra l’altro, l’attuale establishment e la linea intransigente sostenuta fino a qualche settimana fa non godono più dell’appoggio della popolazione.
La questione della leva, della coscrizione, resta un argomento molto spinoso: noi stessi, come organizzazione umanitaria, abbiamo conosciuto un alto turnover di personale, soprattutto di uomini e di ragazzi. C’è tanta paura di essere chiamati alle armi e racconti terrificanti di chi parte.
L’esenzione è ridotta ai minimi termini e c’è paura a muoversi: ci sono posti di blocco in cui fanno i controlli, vengono inviate lettere di convocazione per le prime visite e poi bisogna partire. Si parla di mancanza totale di preparazione: una quindicina di giorni di addestramento e poi si va al fronte.
Questo è il primo argomento di conversazione tra le persone, che incide molto sulla richiesta di chiudere questo conflitto. Nei centri in cui operiamo il rumore delle bombe si sente. È così dappertutto: è entrato nella quotidianità. Gli allarmi suonano tutti i giorni, a qualsiasi ora; si convive con il rischio perenne della distruzione, della morte.
Tutte le volte che vado in Ucraina mi colpisce proprio il fatto che la vita non si ferma, che si va avanti, che si deve ripartire tutti i giorni. Per questo, come AVSI, cerchiamo di legare il tema della pace a quello dell’educazione, per pensare alla rinascita del Paese.
Nei confronti dei russi rimane comunque un sentimento di rivalsa?
Adesso prevale il desiderio di chiudere questa guerra. Questa situazione creerà problemi tra filorussi e ucraini: ci sono ampie porzioni di popolazione che ancora adesso simpatizzano per Mosca.
Il sostegno di AVSI ai profughi ucraini in Polonia
Lavoriamo anche in Polonia con i rifugiati ucraini: lo abbiamo fatto dall’inizio della guerra, nei territori di confine. Poi, nel tempo, è subentrata la nostra filiale polacca, sviluppando progetti di integrazione sociale ed economica dei profughi ucraini. Sono tutte donne.
Sono stati attivati percorsi formativi, corsi di lingua e per fornire le competenze tecniche e trasversali per inserire queste persone (300) nel mercato del lavoro polacco. Un intervento che va considerato anche in vista del rientro in Ucraina, dove il tema della mancanza di forza lavoro è molto attuale.
C’è un problema demografico che andrà affrontato molto presto: tra i 6 milioni di ucraini che sono usciti dal Paese e un milione e mezzo che sono al fronte, certi profili professionali cominciano già a mancare.
All’inizio c’era la corsa alla solidarietà, adesso comincia a esserci qualche problema di integrazione. Tendenzialmente, però, rimane un ambiente accogliente.
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