ROMA – E’ insieme alla comunità locali e alle fasce di popolazione più svantaggiate, e partendo dalla formazione, che si possono mettere in atto strategie efficaci di adattamento e mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici in Medio Oriente, una fra le aree più colpite al mondo. Lo sostiene il segretario generale della fondazione Avsi Giampaolo Silvestri, ascoltato dall’agenzia Dire a margine dei Med Dialogues a Roma.
Nel contesto dell’evento, una tre giorni di lavori e dibattiti sul Mediterraneo allargato organizzati dall‘Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, AVSI ha partecipato a due panel incentrati sul ruolo delle ong nel contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici nella regione mediorientale. Per fare un esempio, secondo quanto riferisce l’ong Greenpeace, la temperatura media di Medio Oriente e Nord Africa sta aumentando a un ritmo due volte più rapido che in tutto il resto del mondo.
I progetti di AVSI in Libano e Tunisia
“Ai Med Dialogues parliamo di due nostre iniziative” spiega Silvestri: “Una in Libano, dove abbiamo contribuito a rendere coltivabile la piana di Marjayoun, in larga parte abbandonata a causa di problemi di approvvigionamento idrico, grazie a un lavoro su un uso corretto dell’acqua; e poi di un’altra di cui ci occupiamo in Tunisia, che vede la cooperazione fra due Comuni sui due lati del Mediterrano, Milano e Gabes“.
Nel Paese nordafricano AVSI lavora a un’iniziativa finanziata dal Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (Un Habitat) con fondi dell’Unione Europea, che mira a migliorare la gestione di acqua potabili, pluviali e acque bianche.
Questi due progetti esemplificano alcuni dei punti cardine della gestione del problema legato ai fenomeni climatici estremi da parte di Avsi. “Sono centrati sulle comunità e sugli ‘ultimi‘, che sono le persone che pagano il prezzo più alto di questa emergenza”, dice Silvestri. “Il contributo che noi diamo è quello di trovare soluzioni sostenibili e condivise insieme alle popolazioni locali“.
Iniziative come quella in Tunisia, che mette fa lavorare insieme i municipi di Milano e di Gabes, svelano un altro aspetto importante, secondo il segretario generale: “Il cambiamento climatico è un problema trasversale e globale e quindi, più di qualsiasi altra crisi, richiede un approccio ‘multistakeholder’, a una questione così complessa non può rispondere un attore singolo”.
Avsi, 329 progetti in 39 Paesi, in quattro continenti, ha celebrato di recente i suoi 50 anni di attività. Nel corso del tempo temi legati ai cambiamenti climatici si sono sempre di più imposti nei bisogni delle comunità beneficiarie. “Ora operiamo su due livelli” ragiona Silvestri: “Il primo si articola con progetti specifici su questo aspetto; il secondo invece integra gli effetti dei mutamenti climatici all’interno di iniziative che hanno un focus diverso“.
In questo senso, il settore che unisce trasversalmente ogni intervento è quello della formazione. “E’ fondamentale per creare consapevolezza e conoscenza sul problema”, dice il segretario generale. “Possiamo installare i pannelli solari, ma se le persone non hanno coscienza del problema o non ne comprendono appieno la funzione, questa operazione avrà un impatto inferiore”.
Sui finanziamenti umanitari cambiare paradigma
Questa settimana, le Nazioni Unite hanno presentato la loro Global Humanitarian Overview (Gho) 2023. Ai donatori si rende noto che i fondi richiesti per far fronte alle emergenze umanitarie del prossimo anno ammontano alla cifra record di 51,5 miliardi.
Secondo Silvestri, “questa cifra è la conseguenza del protrarsi di crisi che non finiscono, penso alla Siria, al Mozambico o al Venezuela, a cui poi se ne aggiungono altre, come a esempio l’Ucraina“.
Tempi lunghi che obbligano a imparare una lezione, che trascende anche il tema dei finanziamenti. “Certo stanziare cifre importanti è necessario, ma a essere decisivo è un cambio di paradigma” avverte Silvestri: “Dall’emergenza si deve passare a pianificare le risposte umanitarie sul lungo termine. E’ qualcosa di complesso, ma ora più che mai necessario”.