AVSI incontra Papa Francesco

Sabato 3 settembre, in occasione del convegno “Ospedali aperti in Siria”, AVSI è stata ricevuta in udienza da Papa Francesco

Riportiamo di seguito l'intervento del segretario generale di AVSI Giampaolo Silvestri e del pontefice

L’indirizzo di saluto che Giampaolo Silvestri ha rivolto al pontefice

Santità,
desidero ringraziarLa a nome di AVSI, della Presidente e del Consiglio di Amministrazione, di tutti gli amici, i sostenitori, i donatori che sono qui rappresentati, insieme a nostri colleghi di terreno dal Medio Oriente, Africa, America Latina: grazie per questa udienza e per il sostegno che la Santa Sede ha assicurato al progetto Ospedali Aperti in Siria.

Quando nel 2016 abbiamo iniziato a pensare questo progetto, la Siria era in cima alle emergenze mondiali: il popolo siriano chiedeva aiuto subito. Su iniziativa del card. Zenari, con l’appoggio all’inizio di Cor Unum, poi Dicastero per lo sviluppo umano integrale, e del Dicastero per le Chiese Orientali, abbiamo provato a rispondere.

Il nostro intervento non ha la pretesa di “salvare” i siriani, ma intende contribuire a portare sollievo alle vittime di un conflitto e di una crisi economica che rendono la vita ogni giorno più insostenibile. La consapevolezza di non poter “salvare” chi è nel bisogno, di non poter aiutare tutti, non è mai stata un alibi per rinunciare a intervenire in contesti di guerra o di estrema povertà.

AVSI, che celebra 50 anni quest’anno, è da sempre interessata a guardare alla realtà in tutta la sua complessità e contraddizioni, e da questa è spronata a tradurre in azioni concrete, con il concorso di partner e soggetti diversi, la propria missione.

Dalla sua fondazione, avvenuta per iniziativa di alcune persone appartenenti a “Comunione e Liberazione”, alle quali si sono aggiunte nel tempo molte altre di diversa provenienza, AVSI lavora per un mondo in cui la persona possa essere protagonista dello sviluppo suo e della sua comunità.
Perché, come indica la Fratelli Tutti, per costruire sviluppo servono amicizia sociale e fraternità universale, occorre “rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza”. Questo è il cardine del progetto Ospedali Aperti, che ha elargito quasi 80.000 cure gratuite e punta a curare entro il 2024 140.000 siriani.

Sono innumerevoli le testimonianze delle persone curate che riceviamo: si dicono soprattutto grate. A volte sono quasi stupite di aver trovato accoglienza amorevole benché fossero di religione diversa, come se nel Paese si fosse smarrita la fiducia che l’altro può essere un bene, non sempre una minaccia.
Alcuni, curati dal progetto, tornano e chiedono di poter svolgere servizio di volontariato negli ospedali. Come Hani, un giovane musulmano che era rimasto ferito gravemente, temeva di non poter più camminare, e invece è tornato in piedi grazie a una serie di interventi chirurgici, ha potuto ricominciare a giocare con suo figlio e a lavorare per mantenerlo.
Tali testimonianze documentano quanto il percepirsi accolti sia generativo di bene: produce speranza, amicizia sociale e fraternità, indispensabili per ricostruire un Paese ferito dalla guerra.
Il progetto, realizzato grazie a tante donazioni, dai risparmi di un bambino – oggi qui presente – ai milioni di imprese e soggetti pubblici e privati, è stato ben accolto anche dalle istituzioni locali, civili e religiose.

La collaborazione stessa tra ospedali diversi costituisce un modello a cui ispirarsi: affrontare insieme le situazioni più critiche fa fiorire un bene che va oltre la somma dei singoli sforzi.
Ma non ci possiamo fermare. All’emergenza Siria si sono aggiunte infinite altre emergenze, che mettono alla prova i più fragili e chi come noi lavora nella cooperazione allo sviluppo. Creano quasi una contesa: chi “merita” più aiuto? C’è una gerarchia da rispettare nel bisogno? Come essere presenti?
Sono domande che noi ci poniamo ogni giorno e che affidiamo a Lei, Santo Padre, come figli che non vogliono perdere di vista il movente autentico e originario della propria azione.
Grazie

Giampaolo Silvestri, segretario generale Fondazione AVSI

Il discorso del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle, buongiorno

Do il benvenuto a tutti voi, radunati in questi giorni per portare avanti la lodevole iniziativa “Ospedali Aperti” in Siria. Ringrazio il Dottor Giampaolo Silvestri, Segretario Generale della Fondazione AVSI, per la sua introduzione. E saluto con viva gratitudine il Cardinale Zenari, che da quattordici anni è Nunzio Apostolico in Siria.

Pensando alla Siria, vengono in mente le parole del Libro delle Lamentazioni: «Poiché è grande come il mare la tua rovina, chi potrà guarirti?» (2,13). Sono espressioni che si riferiscono alle sofferenze di Gerusalemme e che possono far pensare anche a quelle vissute dalla popolazione siriana in questi dodici anni di sanguinoso conflitto. Considerando il numero imprecisato di morti e feriti, le distruzioni di interi quartieri e villaggi, e delle principali infrastrutture, tra cui anche quelle ospedaliere, viene spontaneo chiedersi: “Chi potrà ora guarirti, Siria?”. Quella siriana, a detta degli osservatori internazionali, rimane una delle più gravi crisi nel mondo, con distruzioni, crescenti bisogni umanitari, collasso socio-economico, povertà e fame a livelli gravissimi.

Ho ricevuto in dono l’opera di un artista, che, ispirandosi a una fotografia, a volti reali, ritrae un papà siriano, stremato di forze, che porta il suo bambino sulle spalle. È uno dei circa quattordici milioni di sfollati interni e rifugiati, ossia più di metà della popolazione siriana di prima del conflitto. È un’immagine impressionante di tante sofferenze patite dalla popolazione siriana.

Di fronte a questa immensa sofferenza, la Chiesa è chiamata ad essere un “ospedale da campo”, per curare le ferite sia spirituali sia fisiche. Pensiamo a quello che leggiamo nel Vangelo: «Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie» (Mc 1,32-34; cfr Lc 4,40). Il Signore che guarisce.

E la Chiesa, fin dal tempo degli Apostoli, è rimasta fedele al mandato di Gesù: «Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Gli Atti degli Apostoli ci raccontano che «portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro» (5,15) e li guarisce.

Facendo tesoro di questa eredità, ho esortato più volte i sacerdoti, specialmente il Giovedì Santo, a toccare le ferite, i peccati, le angustie della gente (cfr Omelia nella Messa Crismale, 18 aprile 2019). Toccare. E ho incoraggiato tutti i fedeli a toccare le piaghe di Gesù, che sono i tanti problemi, le difficoltà, le persecuzioni, le malattie delle persone che soffrono (cfr Regina Caeli, 28 aprile 2019; Evangelii gaudium, 24), e le guerre.

Cari amici, la vostra iniziativa “Ospedali Aperti”, impegnata a sostenere i tre Ospedali cattolici, operanti in Siria da cent’anni, e quattro ambulatori, è sorta sotto il patrocinio del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale ed è sostenuta dalla generosità di Istituzioni ecclesiali – Papal Foundation e qualche Conferenza Episcopale –, di qualche ente governativo – quello ungherese e quello italiano –, di Istituzioni umanitarie cattoliche e di tante persone generose.

Ospedali Aperti” è il vostro programma. Aperti a malati poveri, senza distinzione di appartenenza etnica e religiosa. Questa caratteristica esprime una Chiesa che vuol essere casa con le porte aperte e luogo di fratellanza umana. Nelle nostre istituzioni assistenziali-caritative, le persone, soprattutto i poveri, devono sentirsi “a casa” e sperimentare un clima di accoglienza dignitosa. E allora, come avete giustamente sottolineato, il frutto raccolto è duplice: curare i corpi e ricucire il tessuto sociale, promuovendo quel mosaico di convivenza esemplare tra vari gruppi etnico-religiosi caratteristico della Siria. A questo proposito, è significativo che i tantissimi musulmani assistiti nei vostri ospedali sono i più riconoscenti.

Questa vostra iniziativa, insieme ad altre che sono state promosse dalle Chiese in Siria, sboccia dalla creatività dell’amore, o, come diceva San Giovanni Paolo II, dalla «fantasia della carità» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 50).

Oggi mi avete regalato una bella icona di Gesù Buon Samaritano. Quel malcapitato della parabola evangelica, derubato e lasciato mezzo morto sul ciglio della strada, può essere un’altra immagine drammatica della Siria, aggredita, derubata e abbandonata mezza morta ai bordi della strada. Ma non dimenticata e abbandonata da Cristo, il Buon Samaritano, e da tanti buoni samaritani: singole persone, associazioni, istituzioni. Alcune centinaia di questi buoni samaritani, tra cui alcuni volontari, hanno perso la vita soccorrendo il prossimo. A loro va tutta la nostra riconoscenza.

Nell’Enciclica Fratelli tutti ho scritto: «La storia del Buon Samaritano si ripete: l’incuranza sociale e politica fa di molti luoghi del mondo delle strade desolate, dove le dispute interne e internazionali e i saccheggi di opportunità lasciano tanti emarginati a terra sul bordo della strada» (n. 71). E invitavo a riflettere: «Tutti abbiamo una responsabilità riguardo a quel ferito che è il popolo stesso e tutti i popoli della terra» (n. 79).

Di fronte a tante e gravi necessità, sentiamo tutto il limite delle nostre possibilità di intervento. Ci sentiamo un po’ come i discepoli di Gesù di fronte alla numerosa folla da sfamare: «Non abbiamo altro che cinque pani e due pesci; ma che cosa è questo per tanta gente?» (Gv 6,5-9).

Una goccia d’acqua nel deserto, verrebbe da dire. Tuttavia anche il pietroso deserto siriano, dopo le prime piogge di primavera, si ammanta di una coltre di verde. Tante piccole gocce, tanti fili d’erba!

Carissimi, vi ringrazio per il vostro lavoro e vi benedico di cuore. Andate avanti! Che i malati possano essere curati, che la speranza possa rinascere, che il deserto possa rifiorire! Lo chiedo a Dio per voi e con voi. E, per favore, non dimenticatevi di pregare anche per me. Grazie.

(Dopo la benedizione)

Questa sarà l’immagine, di questo papà siriano che fugge con il figlio, che a me ha fatto venire in mente quando San Giuseppe è dovuto fuggire in Egitto: non se n’è andato in carrozza, no, era così, fuggendo precariamente. L’originale di questa immagine me l’ha regalata l’autore che è un artista piemontese; io vorrei offrirla a voi perché guardando questo papà siriano e suo figlio pensiate a questa fuga in Egitto di ogni giorno, di questo popolo che soffre tanto. Grazie.

Link al discorso di Papa Francesco