di Alessandra Muglia
«Perché date aiuti all’Africa?» Sembra la provocazione proveniente da un’Europa sempre più nazional populista, invece no.
Questa volta la domanda, sconcertante nella sua semplicità, è stata posta a Bruxelles da una ventenne ugandese che di quegli aiuti ha in qualche modo beneficiato. Sharon Akidi ha lasciato per qualche giorno la sua baracca nello slum di Kampala ed è volata nella capitale belga per le Giornate europee sullo sviluppo insieme alla sua vicina Teddy Bongomin, 40 anni.
Sopravvissute agli orrori della guerra civile, sono rinate grazie alle iniziative dell’infermiera ugandese Rose Busingye e del suo Meeting Point International, partner locale della ong italiana Avsi: le due donne hanno ricevuto non «aiuti che creano dipendenza ma strumenti per emanciparsi davvero», dicono. Sharon sta per iscriversi all’università per studiare economia, Teddy è diventata assistente sociale. Ora eccole esordire nel ruolo di intervistatrici: a Stefano Manservisi, l’italiano responsabile dei progetti di sviluppo e cooperazione europei, chiedono conto di quello che l’Europa fa per l’Africa. Un faccia a faccia insolito, organizzato dal Corriere.