Palestina, quando raggiungere un ospedale è un’impresa

Data 27.09.2017

Gerico, Palestina - Ibrahim gioca con le due sorelle intorno a due altalene di legno piantate nel terreno alla bell’e meglio. Le insegue fin sopra a una pila di copertoni colorati, fissati a terra con la ghiaia a improvvisare un parco giochi per bambini. Una piccola macchia arcobaleno strozzata tra il marrone delle tende e le infinite sfumature di grigio di questo campo di beduini della Valle del Giordano, in Palestina.

Qui una manciata di famiglie di pastori condivide tutto: dal tè ai giochi per i bambini, dall’acqua, che non basta mai per tutti, alle pecore, unica e preziosissima fonte di sostentamento della valle a est del fiume Giordano. “Non vogliamo che ci facciate foto, non si sa mai”, ci spiega il padre di Ibrahim, che vede i controlli della polizia israeliana, frequenti e meticolosi, come un incubo, lui che non può assentarsi nemmeno per un’ora dal lavoro nei campi. “I bambini, invece, loro potete riprenderli”.

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La valle del Giordano fa parte dell’area C palestinese, quella che gli accordi di Oslo II, nel 1995, hanno affidato al completo controllo israeliano, militare e civile. A differenza dell’area A, amministrata dall’Autorità nazionale palestinese (ANP) e dell’area B, a controllo misto. Nella pratica, ciò vuol dire che i palestinesi non possono accedere a una parte del territorio, quella occupata dalle colonie, le basi militari e le strade riservate alle sole targhe israeliane. Ma anche che non possono costruire nulla senza un permesso israeliano.

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“Ibrahim fa la quarta elementare, ma riesce a vedere solo da qualche mese”, ci racconta il padre del bambino. Sin dalla nascita apriva gli occhi appena, a causa di una forma di cataratta congenita di per sé poco grave, ma che qui nella valle è impossibile curare a causa delle difficoltà di accesso alle strutture sanitarie.

“Il problema più grave sono le restrizioni ai movimenti della popolazione palestinese, che rendono difficile o impossibile raggiungere gli ospedali o i centri per le cure specialistiche”, ci spiega Veronica Dal Moro, responsabile della ong Fondazione AVSI in Palestina, per descrivere un’area in cui attualmente si contano 96 posti di blocco militari fissi. Senza menzionare tutte quelle forme di controllo temporanee – blocchi di cemento, cancelli i ferro, reticoli – che pure contribuiscono a ostruire il libero transito all’interno della valle. “A volte i soccorsi hanno difficoltà a raggiungere chi ne ha bisogno”.

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Per curare Ibrahim è stato necessario portarlo al Saint John di Gerusalemme, un ospedale privato che l’ha operato senza spese per la famiglia, grazie alla mediazione degli operatori di AVSI, ong che da diversi anni è attiva a supporto della popolazione palestinese e delle comunità beduine, in campo educativo e psicosociale. Ma anche solo il viaggio fino alla città santa è stata un’odissea. Muri, checkpoint, permessi da chiedere, spiegazioni di fornire: “Per noi spostarsi è quasi impossibile”, racconta il padre di Ibrahim.

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Ma non c’è solo Ibrahim. Secondo il l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), oltre 250mila palestinesi residenti in Area C hanno un accesso limitato alla sanità. “L’intera comunità della valle vive in condizioni estremamente precarie ed insicure. E i minori sono, come spesso accade, i soggetti più a rischio”, ci conferma Dal Moro che nei prossimi nove mesi si occuperà per AVSI di realizzare un progetto finanziato dalla Cooperazione italiana proprio per aiutare chi vive nella valle, in particolare i bambini e gli studenti, ad accedere ai servizi di base: cliniche mobili, misure di accesso all’acqua potabile, ristrutturazione dei bagni. “Tutto ruoterà attorno alle scuole: coinvolgeremo un migliaio di bambini e ragazzi dai 4 ai 18 anni, con un’attenzione particolare per le ragazze e i più piccoli ”, spiega, “perché storie come quella di Ibrahim smettano di ripetersi”.

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