Ospedali aperti in Siria, il cardinal Zenari a Roma per presentare il progetto

Data 16.03.2018

di SALVATORE CERNUZIO

L’odore è quello dei cadaveri per strada, molti dei quali bambini. La vista è oscurata dai cacciabombardieri che piombano sibilanti sulla gente e gli edifici, senza risparmiare niente e nessuno, neppure le strutture ospedaliere. Sugli abiti si possono toccare la fuliggine degli ordigni appena esplosi, le macchie di sangue, la polvere da sparo, il cui sapore di bruciato rimane pungente nella gola. In sottofondo si sentono spari e urla. «Chi vive in Siria vede l’inferno», afferma il cardinale Mario Zenari, nunzio a Damasco, da sette anni immerso con tutti e cinque i sensi nell’abisso che è divenuto ormai il paese mediorientale, messo in ginocchio da una guerra che sembrava «solo civile», trasformatasi poi in «una guerra per procura» e che ora ha assunto i contorni di un conflitto internazionale «in cui combattono i cinque eserciti più forti del mondo».

Anzi, forse la Siria è peggio dell’inferno, sottolinea il cardinale - che si definisce «un nunzio veterano di guerra» - citando un francescano di Homs: «Nell’inferno c’è solo il fuoco, qua oltre al fuoco delle bombe c’è anche l’acqua che ti inonda perché distruggono le tubature, i vetri in frantumi, il soffitto e i mobili che ti cadono addosso». E ci sono i bambini morti di fame e di freddo per strada, derubati anche dai pacchetti alimentari forniti dalle onlus, o famiglie sterminate da una granata mentre erano a passeggio. «È una strage degli innocenti», sottolinea Zenari durante la presentazione di oggi a Roma del progetto “Ospedali aperti” che, cofinanziato dalla Cei con oltre un milione di euro provenienti dall’8x1000 e gestito dalla organizzazione internazionale Avsi, vuole far fronte ad un’altra crisi, quella sanitaria, che in Siria miete più vittime delle bombe.

Oggi «muoiono più persone per mancanza di medicine, di accesso alle cure e di assistenza sanitaria che sotto le bombe» afferma il porporato, affiancato dal presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, restituendo ai giornalisti presenti nella Sala Marconi della Radio Vaticana scorci di scene drammatiche e dati sconcertanti. Come quello dell’Onu secondo cui l’80% della popolazione siriana vive ormai stabilmente in condizioni di «grave povertà». «Estrema povertà», rimarca il nunzio. Significa che tanta gente rinuncia anche alle cure mediche perché considerate un lusso in ospedali semi distrutti, abbandonati dalla maggior parte del personale medico, piagati da costi impossibili di elettricità e gasolio. Senza dimenticare che i combattimenti hanno messo fuori uso quasi tutti i 111 ospedali pubblici siriani ed oltre la metà dei 1806 centri di sanità. La crisi sanitaria è, quindi, un dato di fatto: quasi 1,5 milioni di abitanti, di cui il 40% bambini, non ricevono cure mediche e non hanno accesso agli ospedali, spiega Giampaolo Silvestri, segretario generale di Avsi.

Il progetto “Ospedali aperti”, ideato da Zenari e avviato nel luglio 2017, mira dunque ad offrire «gratuitamente» terapie e interventi chirurgici a 40mila persone in tre anni, intervenendo in tre ospedali: il Saint Louis di Aleppo, quello francese (colpito di recente dai missili) e quello italiano di Damasco, tutti gestiti da congregazioni religiose. Finora i nosocomi «hanno lavorato al 30%», afferma Zenari. Ad oggi sono più di duemila le persone già assistite attraverso il progetto. Grazie alla collaborazione di numerosi enti, come Fondazione Policlinico Gemelli, l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, Papal Foundation, Roaco, Conferenza episcopale Usa, come pure al contributo di singoli donatori raggiunti da una campagna di raccolta fondi e al sostegno economico della Cei, sono stati raccolti circa 7 milioni di euro (su un budget di 18 milioni) con i quali sono stati comprati macchinari ospedali per effettuare operazioni di piccola o difficile chirurgia e organizzare corsi di formazione di base per medici e operatori sanitari. «C’è una penuria» di queste figure professionali, lamenta Zenari. Circa i due terzi di loro sono andati via dal paese tramite visti internazionali. Nessuna colpa: troppa la paura, la mancanza di sicurezza e di una garanzia per il futuro.

Con loro sono emigrati anche tantissimi giovani. «La Siria non ha più giovani», denuncia il nunzio, «è la bomba più devastante». I cristiani, invece, minoranza più a rischio insieme agli alawiti, sembrano ritornare ma «col contagocce». Si tratta, tuttavia, soprattutto di sfollati interni o di rifugiati in paesi limitrofi come il Libano. In totale rappresentano il 2-3% della popolazione. Contro questa emorragia interna, il cardinale Zenari ha lanciato un appello: «Non si può dire ad uno devi restare. La libertà è sacrosanta. Ma se non sei sotto le bombe, se hai un buon lavoro, prima di partire pensa che hai un dovere verso il paese in cui sei nato e anche un dovere di testimonianza».

«I cristiani – spiega il rappresentante del Papa in Siria – non sono mai stati cacciati dal paese, si trovano bene con tutti perché non sono fanatici né fondamentalisti. C’è una buona libertà religiosa e il regime non ostacola gli aiuti umanitari che arrivano tramite le Chiese. I cristiani sono una finestra sul mondo». Certo la situazione per loro non è facile: «La sofferenza in Siria è trasversale», colpisce tutti. Per questo Zenari dice di essere «il nunzio di tutti», anche dei fedeli delle altre religioni. Trasversale è pure la solidarietà che si sperimenta da ogni parte, senza distinzioni sociali e, soprattutto, religiose. «Buoni samaritani», definisce il cardinale tutte quelle persone che, a loro rischio e pericolo, corrono per strada per aiutare i feriti o seppellire i morti.

Proprio in quella parabola evangelica il cardinale vede descritta la situazione del paese mediorientale: «La Siria è quel povero incappato nei ladroni lungo la strada che l’hanno aggredita, massacrata di botte e lasciata sul ciglio della strada. Non tocca a me dire chi sono questi briganti, ma la comunità internazionale potrebbe fare i nomi». Fortunatamente ci sono anche «i buoni samaritani»: i volontari, le organizzazioni umanitarie, le chiese, gli ordini religiosi che, seppur spesso «presi di mira», «portano questo povero nella locanda». Una locanda che va ricostruita. “Ospedali aperti” è un grande passo avanti in tal senso. E vanno anche trovati «i locandieri» per dare sollievo ad un popolo che vive «la più grande tragedia umanitaria dopo la Seconda Guerra mondiale».

Su tali drammi rimane attento lo sguardo di Papa Francesco che, sin dall’inizio del suo pontificato, si è posto vicino al paese martoriato, come testimonia la veglia di preghiera per la pace in Siria del 6 settembre 2013, ha ricordato il cardinale Bassetti. Da allora, anzi già dai primi fuochi della guerra nel 2012, «la Cei – ha rimarcato il presidente - ha sostenuto le vittime della Siria. Finora sono stati realizzati 15 progetti per garantire alloggi, educazione, cure mediche». Inoltre, «40 persone sono state portate in Italia in urgente bisogno di cure mediche specifiche e siamo intervenuti lungo la rotta balcanica con sei progetti in Europa». In sette anni, infine, sono stati stanziati circa 5 milioni per la Siria provenienti dai fondi dell’8x1000, «soldi che i contribuenti italiani hanno versato alla Chiesa cattolica».

La Chiesa italiana è, insomma, in prima linea per questa zona sofferente del mondo. Ma la domanda rimane ancora in sospeso: «Come possiamo, come Chiesa, dare un segno forte per fermare la violenza e favorire la pace?». Da tale quesito è nata l’idea di convocare tutti i vescovi, i cardinali e i patriarchi dei Paesi bagnati dal Mediterraneo – quello che Giorgio La Pira, ha ricordato Bassetti, suo discepolo, definiva «il grande lago di Tiberiade» - per «un incontro di riflessione e spiritualità». Dell’iniziativa si stanno definendo i dettagli, per ora c’è solo la forte convinzione «che se si farà pace nel Mediterraneo questo sarà un segno per tutte le nazioni della terra».