Non sprechiamo le novità del rapporto con l’Africa

Data 06.01.2018

Chi per lavoro attraversa di continuo i confini che separano Europa e Africa vede nel bilancio della legislatura (e dell’anno) più segni positivi che negativi. La legge 125/2014 sulla cooperazione internazionale ha dotato il nostro Paese degli strumenti necessari non solo per stare con il fiato sul collo dei «competitor» globali della cooperazione allo sviluppo, ma soprattutto per affrontare crisi internazionali divenute ormai croniche (da «Siraq» all’area subsahariana). Penso alla costituzione dell’Agenzia, al coinvolgimento del settore privato come soggetto di cooperazione, alla Cassa depositi e prestiti e al suo ruolo — per quanto ancora in nuce — di banca per lo sviluppo, al Consiglio Nazionale della Cooperazione. In parallelo a tutte queste novità preme la richiesta di trasparenza che viene non solo dai grandi donatori istituzionali e organismi internazionali, ma anche da piccoli donatori privati, soprattutto dopo l’estate caldissima delle ong nel Mediterraneo. E’ una domanda che ci costringe a ridefinire direzione e significato del nostro lavoro tanto più in un tempo di migrazioni che sembravano ingovernabili, di terrorismo mutante, di bisogno di sicurezza.

Più questa domanda cresce, più gli standard imposti si alzano, più il lavoro ci interessa perché il nostro Paese sta dimostrando che può giocare a questi livelli. Anzi: mostrandosi capace di conquistare un posizionamento sicuro nella cooperazione e nelle relazioni internazionali ne guadagna in dinamismo economico. Diventa protagonista nelle aree di crisi. Solo un’istantanea: in questa legislatura, dopo tanti anni di assenza, si sono rivisti i governi italiani Renzi, poi Gentiloni camminare sul suolo africano e presentarsi con proposte di collaborazione e richiesta di partnership. Il contributo che l’Italia ha dato in sede europea a proposito di Migration Compact, l’attenzione con cui ha presidiato la stesura dell’External Investment Plan e il fiorire di iniziative per accompagnare il processo di quello che è considerato il piano Marshall per l’Africa, sono prime tappe di un percorso molto promettente. Il presidente Gentiloni nella conferenza stampa di fine anno ha ribadito che «dobbiamo guardare all’Africa per le sue opportunità e per i suoi rischi». E’ lo spirito giusto per evitare di ridurre il tema dell’Africa a questione di bottega, considerandola solo come quel posto irrecuperabile da cui vengono gli immigrati, per alcuni da respingere a tutti i costi e per altri necessari per pagare le nostre pensioni.

Lo snodo invece è un altro: ci sono i segnali di un rapporto nuovo tra noi e l’Africa, non sprechiamoli. È il momento giusto perché l’opinione pubblica italiana comprenda come al posto dei vecchi colonialismi si stia facendo spazio la logica delle partnership alla pari, un salto di qualità che corrisponde a quanto hanno chiesto al summit di Abidjan i capi di Stato africani. Relazioni in cui tutti i soggetti coinvolti (governi, imprese, ong, società civile, terzo settore) possano mettere alla prova fino in fondo il loro valore e portare a casa risultati concreti: quindi business per chi fa business, sviluppo per chi fa sviluppo, partecipazione e crescita per chi ha scelto questa mission.