Nel mese di luglio, AVSI e Fondazione di Comunità Milano hanno iniziato insieme un lavoro di assistenza e sostegno alle persone ucraine in fuga dalla guerra grazie al supporto di Nexi.
È stato così costituito il fondo solidale #MilanoAiutaUcraina, in collaborazione con il Comune di Milano, per dare assistenza e sostegno alle persone ucraine in fuga dalla guerra. Grazie alla generosità di oltre 330 donatori – cittadine e cittadini, imprese e realtà che operano in settori diversi – e al supporto di Fondazione Cariplo, il fondo #MilanoAiutaUcraina ha raccolto finora oltre 1 milione e centomila euro.
La task force #MilanoAiutaUcraina
Le risorse donate sono gestite da una task force che vede impegnata la Fondazione di Comunità e l’Amministrazione comunale nella regia complessiva e nel coordinamento di un’ampia rete di partner. Capofila della cordata è Fondazione ISMU con 13 partner territoriali distribuiti su tutti i Municipi della città di Milano che hanno il compito di intercettare cittadini ucraini, rilevarne i bisogni e attivare servizi di aiuto e supporto, anche grazie alla collaborazione di altre organizzazioni presenti sul territorio.
L’intervento beneficia di un progetto di valutazione di Codici Ricerca e Intervento che monitora la rilevazione dei bisogni lo stato di avanzamento delle attività, indirizzando l’intervento e registrando i suoi risultati.
Nel mese di maggio, inoltre, è stato avviato il Contact Center telefonico gratuito 020205 sostenuto da Andreij Shevchenko. Sono sei le operatrici di madrelingua ucraina che rispondono alle chiamate dal lunedì al venerdì dalle 09.00 alle 18.00: due con presenza full time e quattro presenti su turni raccolgono i bisogni delle persone rifugiate operando in stretta connessione con i servizi, con gli operatori del Comune e con i partner territoriali articolati sui Municipi.
Un flusso migratorio particolare
Al 3 luglio scorso le persone giunte in Italia sono 144.938 persone (oltre 76mila sono donne, poco più di 45mila i minori mentre gli uomini sono oltre 22mila). Di queste, 13900 si troverebbero sul territorio della Città Metropolitana, secondo le stime dalla Prefettura di Milano. Usiamo il condizionale perché solo il 10% degli ucraini entrati in Italia dal 24 febbraio ha aderito al sistema di accoglienza attivato dal Governo attraverso i CAS, ovvero i Centri di prima accoglienza straordinaria, e dagli enti del Terzo Settore nell’ambito dell’assistenza promossa dalla Protezione Civile.
La stragrande maggioranza dei profughi ha trovato sistemazione autonoma attraverso reti familiari e sociali di ucraini già presenti in Italia. Ed è questo uno dei fattori “stra-ordinari” del flusso migratorio che stiamo vivendo. E non è l’unico: per la prima volta profughi e profughe arrivano con la propria auto portando con sé i propri animali da compagnia. Per la prima volta accogliamo persone che mai avevano vissuto l’esperienza della guerra né immaginavano di esperirla. Per la prima volta ci troviamo di fronte a persone che rigettano la definizione di “profugo” o “rifugiato”. La gran parte delle persone scappate dalla guerra in Ucraina desidera, infatti, rientrare in patria al più presto o comunque sperimenta “uno stato di vigile attesa” che porta al rinvio di ogni decisione.
L’incertezza e l’inevitabile conflitto interiore di profughe e profughi hanno conseguenze importanti e rallentano la costruzione di un progetto di vita anche temporaneo per sé o per i minori che li accompagnano. Emblematico è il tema dell’inserimento a scuola di bambine e bambini, ragazze e ragazzi. Sono 1.310 i minori attualmente accolti nelle istituzioni scolastiche della Città Metropolitana di Milano (161 alla scuola dell’infanzia, 598 alla primaria, 325 alla secondaria e 226 alla secondaria di secondo grado), ma il numero effettivo dovrebbe aggirarsi intorno alle 4mila unità (stando alle percentuali complessive di presenze in Italia).
Quante ragazze e ragazzi, bambine e bambini frequenteranno la scuola del nostro territorio alla ripresa delle lezioni a settembre? Ad ora, non si può sapere. Questa “opacità” si somma alle altre e rende ancor più complesso il supporto ai diversi bisogni, educativi, lavorativi, ma anche sanitari ed abitativi. Proprio rispetto all’abitare, il flusso migratorio dall’Ucraina manifesta un altro dei suoi fattori di unicità. Nella prima fase, parenti e amici già residenti nel nostro territorio ha aperto le porte delle proprie case, garantendo accoglienza immediata e atmosfera familiare a chi arrivasse. A quattro mesi dall’inizio della crisi, la rete informale di ospitalità diffusa manifesta i primi segnali di fatica dettata dalla coabitazione e contribuisce a rendere più ostica l’emersione di situazioni problematiche o di persone con esigenze speciali, che talvolta risultano “invisibili”.
Per portare alla luce queste e altre zone d’ombra, e le specificità territoriali, è essenziale costruire e monitorare un articolato ecosistema di informazioni, organizzazioni e luoghi chiave attorno a cui ruota la “comunità ucraina” di Milano che, secondo i dati disponibili, è composta da circa 8mila persone che diventano 22mila allargando l’orizzonte alla Città Metropolitana.
I bisogni delle persone ucraine oggi
Dunque, quali sono i bisogni delle persone ucraine giunte nell’area metropolitana di Milano a causa della guerra? Il lavoro di ascolto e rilevazione dei partner territoriali e delle operatrici e mediatrici culturali del Contact Center 020205 si sta rivelando di fondamentale importanza nel mapparli, insieme all’analisi svolta da Codici, l’ente incaricato del monitoraggio.
Dal 24 maggio al 27 giugno, il 45% delle richieste di informazioni pervenute allo 020205 ha riguardato attività ricreative/extrascolastiche per minori e iscrizioni a corsi di lingua italiana; il 14% si è concentrato su questioni abitative; il 10% delle chiamate era finalizzato all’orientamento rispetto al permesso di soggiorno, mentre nell’7% dei casi la richiesta è stata quella di ricevere supporto economico.
Approfondendo i temi al centro delle chiamate allo 020205, si percepisce il bisogno di sostegno alle funzionalità genitoriali – in larghissima maggioranza in capo a figure femminili – e l’alleggerimento del carico di cura nei confronti di figli, figlie, ed eventuali genitori o parenti anziani. In questa direzione va la richiesta di attività e percorsi diurni destinati ai minori che consentano a madri, zie, nonne di lavorare e garantire introiti alla famiglia. Parimenti, le persone rifugiate manifestano solitudine e isolamento per le quali è urgente promuovere eventi di socializzazione peer-to-peer, tanto quanto corsi di lingua italiana per accorciare la distanza fra la comunità ospitante e le persone rifugiate.
Per provare a rispondere puntualmente a queste necessità – restando pronti a riconfigurarle con il passare del tempo e all’emergere di nuovi bisogni la Fondazione in stretta sinergia con il Comune di Milano e le reti di enti del Terzo Settore, partner di progetto, ha sistematizzato un impianto progettuale estremamente flessibile in grado di attivare interventi e servizi a domanda collettiva e individuale sul territorio: corsi di lingua, centri estivi e laboratori di sostegno psicologico per cittadini ucraini e famiglie che li accolgono, ma anche interventi puntuali e individuali di aiuto e supporto linguistico e culturale, educativo e materiale ai soggetti e alle famiglie più fragili che possono contare su un aiuto concreto e personalizzato.
Grazie al supporto di Nexi, la Fondazione ha attivato due progetti in collaborazione con Fondazione AVSI e Fondazione Cometa che si occupano di avviare percorsi formativi e di inserimento lavorativo in raccordo per la gestione della domanda e dell’offerta con UNHCR e i servizi di mediazione al lavoro territoriali cittadini e metropolitani, oltre alla collaborazione di aziende e studi professionali.
A fine estate, anche sulla base dei risultati e del progetto di valutazione, faremo il punto sulle attività e sullo stato dei bisogni nella consapevolezza che, dopo la fase emergenziale, le necessità avranno carattere strutturale e saranno fra loro interdipendenti. Per questo andranno affrontate con un approccio di sistema capace di far dialogare al meglio le risorse pubbliche e private messe in campo.