Il mio obiettivo è trasformare la vita delle persone i cui bisogni principali non vengono soddisfatti. Lavorare in piccoli villaggi privi di servizi sociali di base è diventata una sfida personale per me: grazie al sostegno di AVSI, vedo molti progressi e voglio fare ancora di più.
Jimmy Tamba, Coordinatore del progetto di Sostegno a Distanza di AVSI in Sierra Leone
Il 20 agosto, in occasione del Meeting di Rimini 2023, Jimmy Tamba ha ripercorso le tappe che lo hanno portato da ex bambino soldato a coordinare lo stesso progetto di cui ha beneficiato - il Sostegno a Distanza di AVSI - in Sierra Leone.
La sua esperienza non lo ha portato solo a diventare un assistente sociale, ma anche a sostenere due bambine.
"Vorrei iniziare ringraziando AVSI per avermi dato l'opportunità di rivolgermi a questa sala, piena di persone così diverse, riunite qui per ascoltare la mia testimonianza e la mia esperienza di vita. Una vita piena di sfide e di trasformazioni."
Il discorso di Jimmy Tamba al Meeting Rimini
Breve storia della mia vita
Un ex bambino-soldato, catturato in tenera età e addestrato per far parte di un esercito e combattere una guerra per motivi a lui sconosciuti, che ha sperimentato un sacco di traumi psicologici, emotivi e fisici. Un individuo, che ha perso anche suo padre in tenera età, è diventato un modello per gli altri nella vita e nella società. Non è stato un viaggio facile, ma sono riuscito ad affrontarlo.
La maggior parte dei bambini che hanno avuto un'esperienza simile alla mia, non ce l'hanno fatta. Alcuni hanno finito per essere tossicodipendenti; altri sono diventati pazzi, alcuni anche mendicanti, e alcuni sono morti per strane malattie. Non era ciò che desideravano per loro stessi, ma non hanno avuto una persona di riferimento, un individuo in grado di capire i loro bisogni o accoglierli a braccia aperte per accompagnarli.
Ero un soldato bambino, e oggi ho una laurea triennale in attività gestionali e leadership, presto mi laureerò anche in un master in gestione dello sviluppo. Una trasformazione che non ho mai sognato, eppure sta accadendo. Come ho detto prima, è stato un lungo viaggio, e con numerose sfide sulle quali non mi soffermerò qui, altrimenti non ce ne andremmo entro oggi.
Prima di proseguire, vorrei ringraziare il Rev. Padre Joseph Berton, che mi è sempre stato vicino e mi ha guidato nel mio percorso. Quando ero un bambino soldato, ho assistito a tanti episodi traumatici che hanno influenzato la mia vita. Padre Joseph Berton non si è mai arreso con me, anzi mi ha insegnato il valore della vita, come si può essere una persona migliore nonostante i propri traumi. Ero una persona con cui era molto difficile interagire, e ancora sento di aver qualche tratto di quel carattere. Eppure padre Berton passava molto tempo con me, parlando e raccontando storie. Mi portava a vedere luoghi diversi per far rilassare la mia mente e aprirla alle opportunità che mi si presentavano davanti. Che la sua anima gentile possa riposare in pace.
Inoltre, sono più che grato alla famiglia italiana che mi ha accolto anche se la razza, il colore e persino la religione non ci univano. Eppure, mi hanno visto come uno di loro, mi hanno permesso di stare nella loro casa per un anno intero per vivere insieme e sperimentare la vita di una famiglia. Mi hanno sostenuto in diversi modi, soprattutto nei momenti di solitudine, quando non avevo voglia di parlare con nessuno. Non si sono mai arresi, soprattutto mia madre e mio fratello minore. Sono molto legato a loro e so che sono qui ad ascoltare la mia testimonianza. Mi dicono sempre che non devo loro nulla, perché è loro responsabilità, come famiglia, vegliare su ogni membro. Voglio dirvi grazie e che sono orgoglioso di essere vostro figlio e fratello. Sto parlando della famiglia Nembrini di Bergamo. Grazie mille Maria Grazia, mamma, come l'ho sempre chiamata, Franco, il mio papà, Gabriele, preferisco Gabri, il mio fratellino. Grazie di cuore mia bella famiglia. Il poco tempo che ho trascorso con voi mi ha insegnato molto sulla vita, e ho sempre quell'emozione, quel ricordo della vostra gentilezza. Mi avete dimostrato che tutti hanno un valore; tutto dipende dal tipo di persone con cui si interagisce e da quelle che hanno passione, empatia e amore per gli altri. Vi sono sinceramente grato. Vorrei che mia madre Maria Grazia Nembrini e una sorella speciale, Elga Contardi, fossero qui accanto a me mentre condivido con voi la mia esperienza di vita.
Tornato in Sierra Leone, dopo il mio soggiorno in Italia, ero una persona diversa e tutto ciò che ho imparato da questa famiglia mi ha guidato. Ho capito che ogni essere umano ha bisogno dell'attenzione degli altri, di ascolto e che gli sia dato valore. Infatti Padre Berton mi diceva sempre: "Cerca sempre di aiutare gli altri ogni volta che ne hai la possibilità, questo aumenterà la tua felicità".
La registrazione dell'evento. L'intervento di Jimmy Tamba è al minuto 44
La mia vita: da beneficiario a benefattore
Oggi, a parte mio figlio biologico, ho due bellissime figlie adottive, Mariama e Sallay. Mariama che è di circa 20 anni e Sallay quasi 11 e sono ex e attuali alunni delle scuole Sacra Famiglia, una scuola molto grande costruita da AVSI in Sierra Leone. Ho deciso di assumermi la responsabilità e di sostenerle come mie figlie quando lavoravo come assistente sociale nella scuola e dopo aver ascoltato le loro storie.
Entrambe hanno storie di vita diverse. Ho incontrato Mariama quando aveva 11 anni dopol'epidemia di Ebola che ha sconvolto la Sierra Leone. Ho visto dal suo volto che era depressa, timida; non ha mai parlato né interagito con altri. Dopo averla osservata molte volte ho capito che aveva bisogno di attenzione. Dovevo avvicinarmi a lei per sapere cosa aveva, perché era sempre triste e sola e non parlava con nessuno, e ho pensato alla mia vita precedente. Dopo diverse discussioni, si è raccontata e ha spiegato la situazione che stava attraversando; era una storia difficile da ascoltare. Un'orfana che ha perso entrambi i genitori in un giorno a causa del virus Ebola, e non aveva nessuno che si prendesse cura della sua educazione per non parlare del nutrimento e della sua salute. Chi l'aveva salvata, quasi sempre la maltrattava. La portai via da quella famiglia e l’affidai a un’altra famiglia cui davo il mio sostegno per il suo mantenimento.
Sallay aveva una storia diversa ma simile. Non aveva amici e non interagiva con i suoi compagni di classe. Me ne sono reso conto ogni volta che visitavo la scuola materna e giocavo con i bambini. Lei non si è mai avvicinata. Ho dovuto parlare con una sua insegnante per conoscere la causa della sua solitudine, e perché era sempre sola. L'insegnante ha dovuto raccontarmi la sua storia. Mi ha detto che sua madre è scappata lasciando la bambina quando aveva un anno con la nonna e nessuno sa dove sia andata. La nonna è una giardiniera e non abbastanza in salute per occuparsi di lei. Pertanto, la bambina viene sempre a scuola senza cibo. Ho dovuto passare un po' di tempo con lei, e ho detto alla maestra che da quel giorno in poi sarebbe stata sotto la mia responsabilità.
Oggi, Sallay è all'ultimo anno della sua istruzione primaria, mentre Mariama ha completato la scuola superiore ed è in attesa dei risultati. L'attività più importante con loro che posso ricordare è la festa dei loro compleanni, qualcosa che non hanno mai sperimentato né celebrato nella loro vita. Questa è stata la loro prima esperienza in cui hanno scoperto cosa significa una festa di compleanno; dopo una lunga cena sono tornate a casa. La mattina dopo, andando al lavoro, ho incontrato le famiglie affidatarie: mi aspettavano per esprimere la loro gratitudine. La nonna di Sallay mi ha detto che la bambina riusciva a malapena a dormire mentre continuava a raccontare il suo settimo compleanno: ora sapeva cosa significa avere una festa. Oggi, mi sento felice vedendo i miei figli cresciuti a questo livello di vita. Lo devo alla famiglia Nembrini e alla mia ospite, una sorella ed ex collega di AVSI Elga Contardi. Elga era, ed è il mio forte pilastro nel sostenere la crescita di questi bellissimi bambini. La mia vita è stata come passare dall'essere un beneficiario a un benefattore, qualcosa che io stesso non posso immaginare e un individuo che può sostenere la crescita di un altro e quindi diventare una persona utile nella società. In che mondo assurdo viviamo.
Non che io abbia il potere finanziario per sostenere queste bambine, ma mi sono sentito in dovere, perché è qualcosa che ho imparato a mia volta dalle diverse persone che ho incontrato nella mia vita con diverse esperienze. Ho questa convinzione: se nella vita pensiamo che dovremmo avere abbastanza prima di aiutare gli altri, allora non funzionerà mai, perché nulla è sufficiente per noi, perché anche la domanda è sempre più ricca. Sono le persone benestanti a chiedere sempre di più, non quelle povere.
Ora, come coordinatore del progetto Sostegno a distanza di AVSI in Sierra Leone, lavoro con un numero maggiore di beneficiari e comunità diverse. Il mio obiettivo è trasformare la vita delle persone che non hanno i servizi sociali di base. Lavorare con un villaggio come Madina-Tabai nella parte settentrionale della Sierra Leone, è un esempio, una delle nostre aree operative che è diventata la mia sfida personale. Una comunità che è priva di tutti i servizi sociali, nonostante sia situata sulla strada principale tra la capitale e la terza città. Attraverso il supporto di AVSI e la mia dedizione a trasformare la mentalità e la vita delle persone, vedo un sacco di progressi in atto e ho bisogno di fare di più. Oggi, sono più felice di aiutare gli altri a realizzare le loro potenzialità e a guidare il loro viaggio di vita.
Mariama e Sallay mi hanno insegnato che le persone possono fare meglio e contribuire al progresso sociale se sono ascoltate e hanno la giusta guida e sostegno. Se tutti possiamo aprire le braccia agli altri, ascoltare i loro problemi interiori, avvicinarli perché si sentano valorizzati, amati e a proprio agio, vivremmo in un mondo di pace e armonia. Un mondo che non ospiterà il caos, la guerra, la repressione e la depressione, le disparità, indipendentemente della nostra razza, colore, regione e anche diversità religiose
Jimmy Tamba – bio
Jimmy è approdato alla sua professione dopo un lungo percorso di recupero. Ad aiutarlo, padre Berton, missionario dell’ordine dei Saveriani tra i primi a preoccuparsi di reintegrare in società i bambini ex combattenti della guerra civile che ha sconvolto la Sierra Leone dal 1990 al 2001. Undici anni questi, in cui i ribelli del Revolutionary united front (Ruf), disposti a tutto per prendere il controllo dei giacimenti d’oro e diamanti, rapirono non meno di 40mila minori da usare come miliziani. Un evento che a 21 anni di distanza mostra ancora tutte le sue ferite in una generazione spezzata e nel serio ritardo del sistema economico, educativo e sanitario in cui versa il Paese, tra più poveri dell’Africa occidentale. All’epoca, Jimmy aveva 11 anni: “Ero in vacanza a casa di alcuni zii quando degli uomini rapirono me e altri ragazzi” racconta. “Dato che parlavo la lingua di quell’etnia fui messo nel reparto comunicazione, trasmettevo i messaggi delle unità combattenti e intercettavo quelli dell’esercito”. Una posizione che gli ha risparmiato gli scontri a fuoco ma non il trauma. “Dopo due anni e mezzo fui liberato, ma stavo molto male. Poi padre Berton iniziò a prendersi cura di me. Avevo 15 anni. Mi propose di vederci ogni giorno per fare lunghe chiacchierate su temi leggeri, solo per riabituarmi a comunicare. Dopo qualche tempo mi diede un altro esercizio: sforzarmi di ascoltare gli altri, perché, mi disse, guarire comportava anche accorgersi di chi c’è intorno a te. Solo dopo molto tempo mi domandò la mia storia, e fui finalmente in grado di raccontarla, perfino in pubblico”.
Un percorso che col tempo lo ha portato a studiare in Italia per diventare assistente psico-sociale, e a iniziare la collaborazione con Avsi, che ha incoraggiato la sua formazione. Oggi va nelle scuole della Sierra Leone per individuare assieme agli insegnanti i bambini vulnerabili da inserire nel programma di Sostegno a distanza: gli orfani, i minori di famiglie sfasciate, quelli con disabilità o malattie di cui nessuno si prende cura.