Come da tradizione il mese di settembre segna la fine delle vacanze e il ritorno sui banchi di scuola per moltissimi bambini, ma non sarà così per tutti quelli che vivono in zone di guerra e violenze dove la scuola rimane ancora un sogno.Leggi le storie e aiutaci a far vivere anche a loro il #primogiornodiscuola.
Una lezione di scuola nel campo profughi di Marj El Kok in Libano
“Sapete cos'è questa?” “E' una lavagna”. “Bene bambini, dovete averne cura. Vi servirà per imparare l'alfabeto, i numeri e a scoprire tante cose nuove”. Siamo a Marj El Kok, nel sud del Libano, all'interno del campo profughi che ospita un migliaio di rifugiati siriani che vivono accampati in tende fatte di stracci e plastica.
Qui, dove mancano acqua corrente, latrine e assistenza medica e la temperatura raggiunge solitamente 40 gradi, da qualche tempo i bambini hanno ripreso ad andare a scuola. Finora, per i piccoli siriani di Marj El Kok i libri di scuola, come del resto tutto ciò che faceva parte della loro vita in patria, erano solo un lontano ricordo.
La scuola nello slum a Nairobi in Kenya
Alla Little Prince la giornata inizia alle 7 del mattino per i bambini dello slum che, non avendo le condizioni per fare i compiti e studiare a casa, preferiscono venire a scuola. A quell'ora c'è già l'insegnante che li aspetta.
La Little Prince sorge nel cuore di Kibera una delle baraccopoli più grandi dell'Africa, nella quale vivono più di 750 mila persone, tutte in case fatte di niente. Fango, legno, pezzetti di legno e lamiera ondulata come tetto. A Kibera non ci sono servizi, non c'è acqua potabile, non c'è corrente elettrica, la spazzatura è ovunque. Quando piove il fango si trascina dietro un mondo. I bambini nascono e vivono qui in un clima di estrema violenza.
Poter frequentare una scuola, se poi così bella come la Little Prince, è una grandissima opportunità per crescere. Partita con 9 bambini, la scuola accoglie oggi, grazie anche al sostegno a distanza di AVSI più di 300 studenti.
"In questo luogo ho scoperto me stesso" - racconta Prime uno studente - in questa scuola è cresciuta la mia autostima, la mia sicurezza. Ho migliorato il mio rapporto con gli altri studenti e ho cominciato a volermi bene. Non posso dire che sarei diventato quello che sono adesso se non fossi venuto in questa scuola".
Tre magici gradini in una scuola del Sud Sudan
Sei mesi di intenso conflitto, drammatiche condizioni di molti campi sfollati a causa delle grandi piogge, ma anche in Sud Sudan suona la campanella. Anna Sambo, cooperante AVSI nel paese, racconta i pensieri dopo un'intensa giornata di lavoro nello stato più giovane del mondo.
Torit East. Scuola aperta Taban (un insegnante in pantaloni eleganti, nel solito cortile scolastico di fango) mi spiega: “Sai ci sono i bambini che non camminano bene, zoppi o che usano le stampelle, ora possono entrare in classe e venire a scuola. Prima non ci venivano”. Guardo di nuovo, cerco uno scivolo che porti alla porta. No, tre gradini. Penso che lo scivolo lo devono ancora fare. Poi capisco. Prima, dice Taban, il salto da fare per entrare in classe era di quasi un metro. Ora coi gradini possono entrare anche i bambini che fanno fatica a camminare.
Io non capisco come sia possibile essere ancora colpita. Eppure è evidente. La relatività in questo caso delle barriere architettoniche: tre magici gradini.