Cosa sta succedendo in Somalia? L’intervista a Bianchessi AVSI Regional Manager per l’Africa Orientale

Data 28.04.2021

Le tensioni tra governo federale e opposizioni rientrano in un “quadro sistemico di instabilità” che in Somalia va avanti da 30 anni. Allo stesso tempo vanno però collocate in un contesto fatto anche di speranza, e di persone “che desiderano pensare al futuro”. Questa la lettura di Andrea Bianchessi, responsabile regionale per l’Africa orientale della ong AVSI, intervistato dall’agenzia Dire.

Il responsabile si trova in Kenya, da poco tornato da una missione in Somalia. Nel Paese del Corno d’Africa AVSI opera soprattutto nello Stato regionale di Jubaland, situato nell’estremo sud, proprio al confine con il Kenya. La regione è essenziale per comprendere le tensioni che in questi giorni sono scoppiate nella capitale Mogadiscio. Il rifiuto dei governi di Jubaland e Puntland di accettare un accordo sul processo elettorale siglato tra governo federale e Stati regionali semi-automoni a settembre ha contribuito a creare un vuoto normativo al termine naturale dell’incarico del presidente Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmajo, lo scorso febbraio.

Farmajo ha spinto per una proroga di due anni al suo mandato, con il voto favorevole della Camera bassa del Parlamento. Una mossa, questa, condannata dalle opposizioni e dal Senato, ma anche dalla maggioranza dei partner occidentali della Somalia.

Fonti della Dire a Mogadiscio hanno riferito stamane di componenti delle forze armate ammutinate e vicine alle opposizioni che hanno occupato alcuni distretti settentrionali della capitale e che si preparano allo scontro con gli uomini delle forze fedeli al presidente. Bianchessi si dice “ottimista” sul fatto che “alla fine opposizione e governo troveranno comunque un accordo, come da tradizione in Somalia, sulla base di una spartizione dei poteri e degli incarichi ritenuta più equilibrata dalle opposizioni”.

Il responsabile di AVSI si augura che le cose vadano per il meglio con la consapevolezza che l’acuirsi delle tensioni nella capitale potrebbe avere conseguenze nelle altre zone del Paese, in Jubaland in modo particolare. “La regione è in buona parte sotto il controllo dell’esecutivo regionale – dice Bianchessi – ma ci sono zone ancora nelle mani della milizia di matrice islamista Al-Shabaab, mentre la parte settentrionale di Ghedo, al confine con l’Etiopia, è sostanzialmente gestita da clan vicini al presidente”. nella regione ci sono presenze militari di più attori.

Oltre alle truppe federali e del governo locale, c’è una rappresentanza delle forze armate statunitensi e ci sono le truppe della Missione dell’Unione africana in Somalia (Amisom), che consta anche di militari che provengono dall’Etiopia e dal Kenya. Un Paese, quest’ultimo, ritenuto grande alleato dell’esecutivo locale. In questo contesto, spiega Bianchessi, Avsi opera all’interno di “un corridoio di circa 250 chilometri che va dal campo rifugiati di Dadaab, nel nord del Kenya, fino alla città portuale di Chisimaio, in Jubaland”.

Il responsabile di Avsi definisce la zona un’oasi di stabilità in una zona turbolenta: “Sono aree abbastanza sicure, liberate dalla presenza di Al-Shabaab nel 2013 e poi ripopolate”. Nonostante tanti siano gli sfollati che hanno dovuto abbandonare le loro case e al netto dell’ormai semi-permanente stato di tensione che caratterizza la Somalia, Bianchessi parla di persone che “desiderano il bene e pensano al futuro”, a partire da “come far frequentare ai figli la scuola primaria o come costruire quelle secondarie dove mandarli una volta terminato il primo ciclo di studi”.

COSA FA AVSI IN SOMALIA

Tre gli assi principali del sostegno di AVSI alla popolazione locale, spiega Bianchessi: “Formazione e sostegno economico agli insegnanti locali, sia nelle scuole pubbliche che in quelle comunitarie; interventi mirati per rilanciare il settore produttivo della regione, finanziati anche dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, rivolti soprattutto ad allevatori, contadini e pescatori; sostegno psico-sociale, soprattutto a donne che hanno subito abusi e violenze e a persone con disabilità’”.

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