Andare a scuola, in Palestina

Data 16.06.2017

Di Sara Mauri

Sopra le case bianche campeggiano cisterne nere, che si scaldano quando il sole ci batte sopra. Servono per l’acqua. Il sole si alza, qui, come in tutti i luoghi del mondo. Ma la Palestina, fatta di terra bianca e arida, è divisa e ambita. Ci sono tre Palestine: la parte centrale, la zona A, è quella più interna. Gli israeliani non possono entrare, i palestinesi non possono uscire. E qui, ci sono solo palestinesi e stranieri. Poi, ci sono altre due zone che, come cerchi concentrici, inglobano la prima: zona B e zona C. In questo crocevia di popoli e di religioni, la terra è contesa e la vita è difficile. Qui, come ovunque, ci sono dei bambini.

HOGAR NINO DIOS, BETLEMME

A Betlemme, nel cuore della zona A, c’è una scuola che si chiama Hogar Ninio Dios (scuola del figlio di Dio). Questa scuola accoglie 29 bambini con disabilità, spesso raccolti dalla spazzatura e mandati in un primo centro che si chiama la Cresc. I genitori, quando si accorgono che un figlio è disabile, spesso lo “buttano via”. Cresc li raccoglie. Solo alcuni di loro arrivano a Hogan Nino Dios. Alcuni di questi bambini non sono mai stati registrati alla nascita e non avranno mai un’identità. Per qualsiasi Stato, semplicemente “non esistono”. Hiba aveva le braccia chiuse, ma grazie alla musicoterapia e al suo insegnante di Avsi, Noubar Vos, ha imparato a rilassarle e ad aprire le dita. I volontari e gli insegnanti si sono accorti che Hiba era intelligente e che poteva comunicare, solo grazie a un computer: muovendo gli occhi sul monitor, lei rispondeva agli stimoli. Adesso mangia da sola, come mi racconta Julia, la volontaria che la segue: “Hiba sorride. Se fai una domanda, può rispondere con la tavoletta che ha di fronte. Le voglio bene come a una figlia. Del resto, lei non ha nessuno là fuori: io sono l’unica famiglia che ha.”

Quella di Hiba è uno dei tanti traguardi della scuola: riuscire a dare voce a chi non ce l’ha è la cosa più bella. Con la musicoterapia e con la “luce-terapia” si cerca di ridare a questi bambini un motivo per sorridere, anche se molti di loro non diventeranno mai indipendenti.

AMAL HANDAL, BETLEMME

Amal Handal è cristiana e vive a Betlemme. È un’assistente sociale e lavora in scuole speciali sulla dislessia, discalculia e disgravia. Il suo compito è quello di risolvere i problemi comportamentali e di ridurre i frequenti episodi di violenza. Amal organizza dei “cerchi” nelle scuole, dove i bambini possono esprimersi e sentirsi liberi di comunicare quello che sentono senza sentirsi giudicati. “È necessario lavorare sulla personalità dei bambini”, dice, “aiutarli ad esprimersi e sentirsi incoraggiati, perché, se genitori non ti capiscono e continuano a ripeterti che sei stupido e alla fine ci credi anche tu”. Una volta che i bambini riescono a imparare a comunicare, vengono reintegrati nelle scuole normali e continuano ad essere seguiti. Su 70 bambini, Amal dice “siamo riusciti a mandarne 28 in scuole normali. Noi insegnanti visitiamo le loro case e cerchiamo di costruire un rapporto di fiducia con le famiglie per favorire la comprensione tra studenti e genitori”.

Amal è una mamma, la sua casa è piena di foto delle figlie. Due di loro studiano in America. “La vita a Betlemme è difficile”, dice. “Ci sono molte restrizioni. Se vivi qui, lo puoi sentire. Non puoi andare ovunque, è pieno di barriere. In America ci sono stata, non ci sono checkpoint. Puoi andare in Canada senza problemi e nessuno dice niente. Molte persone non sanno cosa c’è fuori dal muro e molti non hanno neanche mai visto il mare. C’è molta violenza tra i bambini, perché la violenza è la prima cosa che imparano. Una piccola cosa, magari banale, può scatenarla. Ma io non li giudico per questo. Per andare al mare serve un permesso speciale, Gli stranieri, da Betlemme, possono usare 4 checkpoint. I Palestinesi possono usarne solo uno: quello di Ramallah, che sta a 20 km da qui. Ma non tutti i Palestinesi possono passare. In tutta la Palestina ci sono circa 300 checkpoint”.

Amal dice che la comunità cristiana a Betlemme sta diminuendo visibilmente. Molti se ne vanno, all’estero, in America. E aggiunge: “prima dell’Intifada il confine era aperto e avevo tanti amici israeliani. Quando l’hanno chiuso, dopo il 1999, la situazione ha iniziato a peggiorare. Le mie figlie hanno amici israeliani”.

NAHDA BA, GERUSALEMME EST

Nahda Ba è una scuola pubblica di Gerusalemme Est che comprende 47 studenti e 5 insegnanti. Come tutte le scuole pubbliche palestinesi di Gerusalemme Est, viene gestita dal Ministero dell’Istruzione Palestinese. Tutta la gestione viene supportata con i fondi del Ministero dell’Istruzione attraverso un’organizzazione caritatevole che si occupa della gestione di immobili ai fini sociali: Awqaf. Awqaf è l’ombrello sotto cui appaiono ufficialmente le scuole pubbliche palestinesi a Gerusalemme Est. Formalmente, queste scuole non vengono riconosciute. Il territorio di Gerusalemme è unito, sulla linea verde il muro non c’è più. Nella parte palestinese (la parte Est), ci abitano anche gli israeliani.

La direttrice, Kefaya Sabri Hamdan spiega che adesso siamo nel periodo finale, che sarà interrotto dal Ramadan, prima della pausa estiva del 6 giugno. C’è un’insegnante dedicata all’inclusione sociale. È una “resource teacher”, si chiama Hiba Har Book ed è stata formata da Terre des Hommes e assunta in questa scuola attraverso il Ministero dell’Istruzione palestinese. Il 22 maggio è arrivato il Presidente Trump e, dato che passerà nella via della scuola, i militari israeliani hanno chiesto di poter mettere delle telecamere di sicurezza.

L’istruzione palestinese prevede un primo livello “basic” che va dall’ultimo anno di asilo fino alla quarta elementare. La scuola Nahda Ba arriva fino alla quarta elementare. C’era una bambina che nessuna scuola prendeva perché non sapeva leggere e scrivere. È stata accolta qui ed è stata affiancata da un’insegnante di sostegno. Anche i problemi che si incontrano in una scuola di Gerusalemme sono grandi problemi. L’educazione della scuola mira all’inclusione e all’educazione all’accettazione delle diversità. I bambini devono sentirsi accettati nella loro individualità e nessuno deve stare in disparte.

“My school is very little but in my heart is very big”, dice Kefaya la direttrice.

Quando me ne vado, mi saluta: “Inshallah”.

EFFETA, BETLEMME

La scuola Effeta è nata nel 1971 ed è gestita dalle suore Dorotee, Figlie dei Sacri Cuori e lavora con Avsi. Questa è una scuola particolare, anche se a prima vista non si nota: i bambini hanno difficoltà uditive. Questo capita perché, come spiega la direttrice, i matrimoni eterogenei tra cugini sono abbastanza comuni. Il disagio è diffuso e si cerca di fare prevenzione, ma in alcuni villaggi la percentuale di bambini audiolesi è altissima. A Effeta, le differenze non si sentono: i bambini cantano, ballano, studiano, cucinano, recitano. Imparano a produrre i suoni anche se non li possono udire. Oltre alla direttrice, Suor Piera Carpanedo, qui ci sono altre 5 suore. La scuola comprende 170 alunni e ci lavorano 32 insegnanti. I bambini studiano qui dall’asilo alla maturità. La struttura è bellissima e molto grande. In tutto, il percorso scolastico dura 16 anni. Qui si impara a leggere il linguaggio attraverso la lettura delle labbra e l’espressione del volto. L’idea di questa scuola, spiega Suor Piera, è venuta al Papa Paolo VI, quando ha visitato questi luoghi, nel 1964.

DIMA SAMMAN, MINISTRO PALESTINESE DELL’EDUCAZIONE

“Rispetto a 20 anni fa, l’approccio all’educazione è differente e dovrebbe continuare ad essere implementato nel giusto modo perché gli effetti sociali si stanno vedendo. Attraverso l’introduzione di insegnanti di inclusione, gli altri insegnanti stanno imparando ad aprirsi. Molti bambini pensano di essere meno di altri bambini e questo è un grosso problema. Noi cerchiamo di capire le abilità particolari di ciascuno di loro per non fargli sentire le differenze. Alcuni bambini non si possono esprimere, molti sono preoccupati per le verifiche scritte. Terre des Hommes e Avsi, insieme al Ministero dell’educazione hanno trovato modi per rendere questi metodi facili anche per gli insegnanti. Bambini che prendevano 0 ora riescono a prendere 8 (solo con la lettura delle domande di verifiche scritte). L’approccio è cambiato. Si lavora sulle barriere, barriere intese sia come barriere psicologiche, sia come barriere sociali. Lo scopo è permettere ai bambini di esprimere liberamente loro stessi”.

Il programma Embracing Diversity, un progetto inclusivo di educazione nelle scuole palestinesi, promosso e realizzato da Avsi, da Terre des Hommes e dal Ministero dell’Educazione palestinese, è stato finanziato dall’Italian Agency for Development Cooperation (AICS) del Ministero degli Affari Esteri Italiano per sostenere lo sviluppo del sistema educativo palestinese e contribuire al miglioramento delle condizioni nelle scuole. Il progetto di Avsi e di Terre des Hommes, durato 3 anni, si concluderà a giugno 2017, ha coinvolto 27 scuole di questa terra (12 scuole pubbliche e 15 scuole private) e mira all’inclusione della diversità. Il programma ha aiutato circa 5000 bambini e ha formato 720 insegnanti. Insegnanti che continueranno a utilizzare questi metodi educativi.

Il presupposto è che l’educazione sia un diritto per tutti, che l’inclusione sia un passo fondamentale per una crescita corretta. Per questo, qui si lavora sull’abbattimento delle barriere. Il contesto è particolarmente difficile. Ma cosa hanno di diverso questi bambini rispetto ai bambini di qualsiasi posto nel mondo? Niente, sono solo bambini. Solo che, alcuni di loro, affrontano tutti i giorni delle barriere. Per andare a scuola, molti di loro, devono attraversare un muro.

Guarda il documentario Embracing diversity