Africa e Europa, fine delle illusioni

Data 22.04.2021

L’uccisione dell’ambasciatore italiano e di due uomini del suo convoglio in Congo ha fatto tornare in prima pagina per giorni l’Africa. Un furore mediatico che per contrasto ha evidenziato quanto ci si ricordi di certe zone in ombra del mondo solo se muore tragicamente una figura di rilievo, che non esistono molte fonti dirette per avere notizie di prima mano se non gli operatori di ong che si ostinano a restare sul terreno, e che l’Africa è ancora considerata un “altrove” a intermittenza.

Invece l’Africa è qui, non è altro.

E la pandemia ha spazzato i residui di stereotipi antichi sulla presunta separazione tra un Nord e un Sud del mondo, e sulla contrapposizione tra un “noi” sviluppati e un “loro” disperati, e ha definitivamente accelerato la consapevolezza che non possiamo pensare né a sviluppo, né a salute, né a benessere come esclusive, ma possibili solo se contemporaneamente accessibili a tutte le latitudini.

Con tale consapevolezza la pandemia ha portato anche un altro dato: il divario tra i bisogni delle popolazioni più vulnerabili e le risorse disponibili per affrontarli si è approfondito, anche se non sempre c’è la volontà di riconoscerlo, e questo non è un pegno leggero per il nostro futuro imminente. I nostri destini ormai definitivamente connessi disegnano la nuova mappa che deve orientare le nostre azioni.

Non possiamo pensarci se non in partnership strategica Europa-Africa che coinvolga il Mediterraneo, per costruire insieme le risposte ai problemi comuni, non tanto per difendere il ruolo della cooperazione né solo per farla meglio. Per rendere effettiva una collaborazione tra pari, interessati a investire risorse economiche e umane in ambiti quali nuove vie di commercio, nuove fabbriche, nuove fonti di energia, ricerca e tecnologia, sviluppo dei servizi sanitari, oltre ovviamente ai settori cardinali dell’educazione e formazione al lavoro.

Ma quando si dice “soggetti alla pari”, si intende che ogni ricerca va condotta insieme, per esempio in laboratori euro-med-africani.

Prendiamo la questione della sfida delle nuove tecnologie: la pandemia ha smascherato la nostra totale dipendenza dalla rete. Se non avessimo avuto le piattaforme di comunicazione e le tecnologie digitali, ci saremmo trovati disarmati e isolati, mentre invece abbiamo potuto lavorare, restare in contatto, sostituire gli incontri in presenza con quelli virtuali, modalità che ha permesso di far marciare buona parte dei nostri progetti, pur rimodulando molte attività.

Ma proprio in questa situazione è emersa la sproporzione: troppe aree del mondo sono ancora tagliate fuori da una copertura e garanzia digitale, fattore che acuisce le diseguaglianze. Le nuove tecnologie devono essere a disposizione di tutti, pur nella cura dei nessi tra diritti, protezione dei dati e attori.

Sono sfide di portata globale, avvicinabili solo grazie a una condivisione strategica.

Troppo complesse rispetto al passato? O scarseggiano le risorse rispetto all’incalzare dei tempi? No, solo dobbiamo impostare principi di collaborazione su basi nuove che tengano presenti le lezioni apprese, la realtà del bisogno e il volto delle persone.

Un esempio pratico: con la pandemia abbiamo dovuto trasferire progetti di educazione e formazione online. Dove possibile abbiamo trasferito classi intere dall’aula fisica a quella virtuale, su webinar e simili, e abbiamo provveduto a distribuzione di tablet e device adeguati.

Ma dove la copertura internet non c’era, per non rischiare una disaffezione definitiva verso la scuola da parte di tanti ragazzi, abbiamo comperato biciclette per tentare di raggiungerli nei loro quartieri e case, per rassicurarli.

Solo un metodo che combini osservazione della realtà, riconoscimento del bisogno e consapevolezza che Europa e Africa sono legate da un unico destino, permette di superare de facto l’obsoleto teorema sviluppo/assistenza umanitaria/sicurezza e di praticare soluzioni sostenibili che hanno come orizzonte il mondo intero e partono da dati già presenti.

L’evoluzione digitale dell'economia e dei servizi nel continente africano continua ad essere inadeguata? Ma la domanda esiste, è forte e va promossa l’offerta con determinazione strategica.

Il sistema economico africano è già avviato a diventare un unico grande mercato digitale e le imprese leader europee potrebbero contribuire in modo decisivo a espanderlo e finalmente unificarlo.

La cultura africana ha talenti che possono divenire fonte di crescita economica comune se interagiscono con organizzazioni della società civile sia con il settore privato più dinamico.

La transizione energetica è una sfida comune a livello internazionale, destinata a trasformare i principi dello stesso sviluppo economico globale, e in forza di questo può essere l’occasione unica per ridefinire il dialogo economico tra l'Africa e il resto del mondo.

Potrebbe sembrare l’elenco di visionari ambiziosi, invece è la presa d’atto di dinamiche socio-economiche già in atto. L’Europa è già uno dei primi partner commerciali dell'Africa e tale prossimità economica deve e può essere ulteriormente rafforzata per il beneficio di entrambi i continenti, per esempio sviluppando il commercio interafricano. La crescita dello scambio africano interno è il fattore più efficace di stabilità sociale e di crescita economica della regione, ed è in grado di aprire mercati che richiamino imprese italiane ed europee. La promozione della competitività e della produttività africana è la precondizione essenziale per la creazione di nuovi posti di lavoro, che a sua volta è il primo motore di uscita dalla povertà, e il più valido deterrente all’emigrazione irregolare che preoccupa così tanto gli stati europei.

Questa nuova mappa della geografia umana e delle relazioni economiche, culturali, ambientali che ci vede così legati e interdipendenti è già disegnata. Dobbiamo imparare a leggerla. Il rischio è solo quello di crescere tutti.

Giampaolo Silvestri