#Womensday / Uganda: Concy

Data 05.03.2018

Dall’1 all’8 marzo, AVSI racconta 8 donne protagoniste di 8 progetti: dall’Iraq al Burundi. Donne ribelli contro l’odio, la povertà, la rassegnazione.

Concy Alawa, 27 anni, è una delle maestre del campo profughi di Palabeck, in Uganda, al confine con il Sud Sudan e ha raccontato la sua storia alla giornalista Alessandra Muglia nel reportage "Le maestre del campo profughi" pubblicato il 12 febbraio scorso dal Corriere della Sera.

Insegna in una classe di 196 bambini in maggioranza sud sudanesi. Dal lunedì al venerdì vive la vita degli sfollati: un’ora di cammino per raggiungere la classe, una giornata di lavoro spesso senza il tempo o la possibilità di pranzare, lontana dalla sua famiglia. Per poter insegnare ha dovuto affidare i suoi due bambini di 3 e 5 anni a una baby sitter e li raggiunge nel fine settimana.

È una “rifugiata per scelta”, come l'ha definita la giornalista Alessandra Muglia: «Ci sono passata anch’io, - spiega Concy nell'intervista - tra il 1997 e il 2006 siamo stati sfollati qui vicino. Anche io sono stata rapita, ma quel giorno volevano solo maschi e mi hanno rilasciato subito, sono stata fortunata».

Concy è una donna che ha scelto. Ha scelto di cogliere un’opportunità professionale, nonostante le difficoltà e il dolore che incontra ogni giorno. Una scelta per mantenere i suoi figli, per non dipendere da un marito violento e allo stesso tempo per dare una speranza a chi, come lei, ha vissuto il dramma della guerra.

La sua storia

Concy è una delle insegnati del progetto "Education cannot wait", avviato a settembre 2017 da AVSI con fondi Unicef, che ha offerto ai bambini banchi, libri e quaderni, e alle maestre di tre scuole elementari corsi di formazione e uno stipendio.

  • Guarda l'intervista a Concy su CorriereTV: I miei alunni sotto shock (di Alessandra Muglia; riprese e montaggio di Aldo Gianfrate)
  • Leggi il reportage sul Corriere della Sera: Le maestre del campo profughi (di Alessandra Muglia, con fotografie di Stefano Schirato e video di Aldo Gianfrate)

In apertura, foto di stefano Schirato