Giada Aquilino - Città del Vaticano
Più di 8 mila siriani curati gratuitamente dal novembre scorso ad oggi. Sono i primi risultati di “Ospedali aperti”, il progetto voluto dal nunzio apostolico a Damasco, il cardinale Mario Zenari, gestito dall’organizzazione non profit Avsi, in collaborazione con il Policlinico universitario Gemelli. L’obiettivo dell’iniziativa è assicurare l’accesso alle cure mediche gratuite alla popolazione siriana più povera, che soffre le conseguenze di oltre 7 anni di guerra: ancora in queste ore sono segnalate oltre 50 vittime in un attentato del sedicente Stato islamico a Suwayda, nel sud del Paese.
Curati circa 400 pazienti a settimana
Secondo l’Onu, oggi 13,5 milioni di persone in Siria hanno bisogno di aiuto e, tra loro, quasi 11,5 milioni di persone - di cui il 40% bambini - non ricevono più cure mediche e non hanno accesso agli ospedali. In particolare il progetto coinvolge tre strutture locali, l’ospedale italiano e quello francese a Damasco e l’ospedale St. Louis di Aleppo, con “una media di circa 400 pazienti curati ogni settimana, complessivamente, nei tre ospedali”, spiega Giampaolo Silvestri, segretario generale della fondazione Avsi, raggiunto telefonicamente da Vatican News mentre è in viaggio tra Aleppo e Damasco. “In ogni ospedale - prosegue - è operativo un ufficio sociale, dove operatori specializzati verificano le effettive condizioni di vulnerabilità, di povertà delle persone, per poi indirizzarle agli ospedali”. Le cure e gli interventi, in otto mesi, sono stati sia di cosiddetta routine sia direttamente collegati alle conseguenze del conflitto. “Si può trattare di piccole operazioni chirurgiche o di interventi importanti che, a causa del conflitto e delle condizioni economiche, non erano stati fatti, oppure anche per curare feriti di guerra. Poi prestazioni mediche, come analisi di laboratorio. E nell’ultimo periodo abbiamo organizzato dei dispensari per prestazioni più semplici, come per l’influenza, l’otite”.
Ospedali cattolici al servizio della popolazione musulmana
Il quadro che ne emerge esprime tutta la drammaticità della guerra. “Le persone sono evidentemente di tutte le fasce di età, con una prevalenza soprattutto di anziani. Sono persone povere, vedove, anziani che magari non hanno più un sostegno economico, orfani, donne il cui coniuge è fuggito o è a combattere. Situazioni molto difficili”, racconta Silvestri. Si lavora in un contesto precario, ma nel servizio prestato non si guarda a differenze di etnia o religione. I pazienti dei tre ospedali cattolici, evidenzia infatti il rappresentante di Avsi, “sono soprattutto musulmani, perché la maggioranza della popolazione in Siria è musulmana”.
La devastazione da Damasco ad Aleppo
Sul terreno, ancora devastazione. “Il panorama è terribile. Appena si esce dal centro di Damasco è tutto distrutto: interi quartieri, chilometri e chilometri di macerie, palazzi distrutti, case distrutte, zone completamente abbandonate. La stessa situazione si trova anche nei villaggi. E ad Aleppo è ancora peggio. La zona est della città ormai non esiste più, è solo un grande cumulo di macerie. Il Paese è distrutto dal punto di vista fisico e poi ci sono i segni e le ferite delle persone”.
La gente: riprenda la normalità
Qualche cambiamento rispetto ai mesi scorsi è possibile comunque scorgerlo. “Le persone sono contente che in qualche modo siano finiti i combattimenti nella maggior parte delle situazioni. Quello che chiedono è che cominci la ricostruzione, che la vita possa riprendere, possa tornare a una normalità, possano riaprire le scuole, possano riaprire gli ospedali, possano riprendere le piccole attività economiche, perché questo è ciò di cui hanno bisogno. E poi c’è il grande problema dei profughi: 5 milioni di persone che sono fuori dalla Siria e che non sappiamo se potranno tornare per dare un contributo nella ricostruzione di questo Paese”. Ed è guardando al futuro che Avsi ha organizzato a Damasco un progetto di formazione professionale “che è un altro aspetto molto importante - aggiunge il segretario generale della fondazione - perché dobbiamo considerare che in molti sono scappati: c’è bisogno - conclude - di formare persone che possano riprendere a fare anche cose semplici, lavori utili, dall’idraulico all’elettricista”.