RD Congo: l’impegno di AVSI per fermare la seconda epidemia di ebola della storia

Data 01.08.2019

Avvenire, 1 agosto 2019 di Paolo Alfieri

Un anno esatto di ebola, un anno con 1.790 vittime e quasi 2.700 contagi, un'ondata di morte che ha già travolto il nord-est della Repubblica democratica del Congo e che ora rischia di allargarsi qualche centinaio di chilometri più a sud, come a Goma, dove ieri si è registrata la seconda vittima. «La verità è che a dodici mesi dall'inizio dell'epidemia non si vede nemmeno la luce in fondo al tunnel - sottolinea con molta amarezza ad Avvenire Nicolò Carcano, rappresentante nel Paese dell'Ong italiana AVSI -. Vediamo ancora intorno troppa incapacità, mancanza di conoscenza del territorio, presunti esperti che non hanno ancora spiegato alla gente cosa sta succedendo e quindi, in generale, po ca prevenzione».

Se a Beni e Butembo, epicentro dell'epidemia nel Nord Kivu, nel corso dei mesi l'allarme ha preso piede, e con esso di pari passo sono cambiate alcune abitudini della popolazione per evitare i contagi, a Goma, città da 2 milioni di abitanti, la situazione secondo Carcano «è ancora assurdamente tranquilla. La percezione del rischio è purtroppo molto bassa, anche perché qui la gente è abituata a qualsiasi cosa. Le persone si salutano ancora dandosi la mano o abbracciandosi, aumentando la possibilità di contagio, mentre a Beni e Butembo questo non accade più: lì il virus ha cambiato, in un certo senso, anche la tipica calorosa socialità africana». Nemmeno la recente dichiarazione dell'Oms, che ha etichettato l'epidemia «un'emergenza internazionale», garantendo anche nuovi fondi per combattere il virus, ha finora spostato gli equilibri.

«In molte zone si sono diffusi i punti per il lavaggio delle mani e per entrare in ufficio ci sono guardiani che misurano la temperatura, e bloccano chi ha più di 37,5 gradi di febbre per accertamenti, ma i contagi restano in perenne aumento. Si può capire quali rischi ci saranno a settembre con la riapertura delle scuole locali, sempre sovraffollate», aggiunge Carcano. Che fa notare, inoltre, come «in un territorio in cui la presenza di decine di gruppi armati impedisce di dispiegare un cordone sanitario intorno ai centri più colpiti, sarebbe stata necessaria una maggiore comunicazione tra operatori sanitari e comunità locali». AVSI, da parte sua, è impegnata a Beni con due progetti sulla formazione di insegnanti, presidi e genitori riguardo alla malattia e con la fornitura dei kit di lavaggio mani e termometri. «Inoltre diamo supporto socio psicologico ai parenti delle vittime, in particolare ai bambini rimasti soli e a rischio stigmatizzazione - spiega Carcano -. Se si pensa che ci sono stati 1.700 morti tra Beni e Butembo e alla tradizionale composizione della famiglia allargata africana, si può capire che praticamente ogni famiglia ha registrato almeno una vittima e molte di loro non hanno ancora capito il perché».

La comunicazione, insomma, è fondamentale, anche per incentivare la prevenzione. «Non possiamo sconfiggere questa epidemia se le comunità non vengono interamente mobilitate - sottolinea anche Jerome Pfaffinann, specialista sanitario di Unicef-. Sono coloro maggiormente capaci di fare ciò che è importante per contenere l'epidemia, la ricerca delle persone che hanno avuto dei contatti, la decontaminazione delle case e fornire sepolture dignitose e sicure». «È già un anno dall`inizio dell'epidemia di ebola in Congo - conclude l'esperto -: è un campanello d'allarme, non deve esserci un secondo anniversario».

La testimonianza dal campo di AVSI: rassegna sampa