Nel Mediterraneo, tra Africa ed Europa: soprattutto qui si misura la novità che sta investendo la cooperazione allo sviluppo italiana e internazionale. Un cambio di paradigma che sarà dibattuto alla Prima Conferenza Nazionale della Cooperazione convocata dalla Farnesina il 24 e 25 gennaio prossimi a Roma. Ma che cosa sta succedendo di nuovo? In estrema sintesi questo: non esiste più la distinzione, nella quale ci eravamo accomodati, tra noi ricchi qui e loro poveri là, nel Terzo Mondo. L’Agenda 2030, articolata in 17 obiettivi globali di sviluppo sostenibile, lo documenta bene: ogni “goal” (dall’educazione di qualità per tutti alla tutela dell’ambiente, dalla lotta alla fame e alla povertà fino alla promozione dell’efficienza energetica), inscindibile dall’altro, concorre a definire un piano di lavoro che coinvolge tutti e a ogni latitudine. Si illude chi pensa che sia un affare di altri.
All’evento si presenteranno gli esiti dell’azione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione, dell’Agenzia, delle ong insieme al settore privato, le diaspore, le università. Ma per essere all’altezza della sua ambizione, la conferenza dovrà avere il coraggio di rinunciare al linguaggio tecnico e cimentarsi nel tentativo di far comprendere a tutti la rilevanza che la cooperazione può avere per il nostro Paese: una spinta a muoversi come “sistema”, ad agire da protagonista nelle relazioni internazionali, a valorizzare le realtà della società civile che hanno compreso che appunto non esistono più paesi del Terzo Mondo, ma potenziali partner.
La logica è letteralmente capovolta. Ogni tipo di colonialismo, anche quello ammantato di filantropia, è fatto fuori dall’esigenza di collaborazione alla pari tra paesi europei e africani. Solo che il tema della partnership, chiesta a gran voce all’ultimo summit Europa-Africa di Abidjan, va vagliato senza sconti. Vanno cioè messe a fuoco azioni concrete e strategie di lungo periodo, intelligenti del contesto nuovo in cui ci muoviamo. Senza mai mettere a tacere una domanda di senso fondamentale, che anche la conferenza nazionale farà sua: in che modo la cooperazione allo sviluppo deve evolvere per rispondere alle sfide di oggi, soprattutto a quella più complessa della sostenibilità?
A partire da un’esperienza di oltre 45 anni di lavoro condiviso quotidianamente con i cosiddetti “beneficiari” dei progetti, noi rispondiamo così: la cooperazione è chiamata a comprendere cosa significa porre sempre al centro la persona e a farlo.
Interessante notare che a questa sottolineatura della centralità della persona ricorrono molti mondi: la pronunciano ceo di multinazionali ed esperti di marketing. Alcune società più lungimiranti traducono questa attenzione in generoso welfare aziendale. Ma al di là del tentativo di monetizzarla, la persona al centro resta il cardine della cooperazione perché sostanzia fino all’ultimo dettaglio – dalla ideazione alla implementazione e valutazione - ogni progetto che punti agli obiettivi dell’Agenda 2030. Senza questa precedenza i goals globali si smontano come giochi di retorica buonista. Perciò il futuro dell'agire della cooperazione lo pensiamo così: lavorare per un mondo in cui ogni persona, grazie alla consapevolezza del suo valore e della sua dignità, sia il vero attore dello sviluppo suo e della sua comunità. Sempre e dovunque, anche nelle situazioni di crisi ed emergenza.