Il Piano nazionale di ripresa e resilienza nella sua prima versione si era completamente dimenticato del Terzo settore. Poi, dopo la protesta di tanti, dentro e fuori il Parlamento, la versione approvata in Cdm destina una manciata di risorse per irrobustire la struttura e la capacità di intervento del Terzo settore nominato nell’ultima versione più volte. Mantenendo però ancora il Terzo settore in un meccanismo ancillare rispetto alla pubblica amministrazione.
Perché, come hanno fatto altri paesi (la Francia ad esempio) e come sta facendo l’Unione Europea, non affermare in premessa e nello svolgimento del Recovery Plan il ruolo chiave del Terzo settore e così finalmente rendere pieno riconoscimento al ruolo dell’economia sociale per la ripresa e la resilienza? «È il segno arretratezza culturale di un governo e di una burocrazia che rinuncia al dialogo e all’ascolto di chi stando tutti i giorni sui territori a contatto con i bisogni potrebbe dare un formidabile contributo nella costruzione di politiche davvero efficaci», ha sottolineato il professor Stefano Zamagni intervenendo sul tema della crisi politica.
Eppure, seguendo le sei macro-missioni (Salute; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Digitalizzazione, innovazione, competitività; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Inclusione e coesione) e le 16 componenti funzionali del PNRR la rilevanza reale e potenziale del Terzo settore risulta di tutta evidenza. Come hanno suggerito in un articolo su Vita.it da Carlo Borzaga e Gianluca Salvatori eccone un sommario elenco della presenza e della necessità del Terzo settore nelle direzioni già previste dal PNRR, elenco che potrebbe anche essere incrementato:
- nel settore della cultura dove accanto alle - per il momento quasi solo auspicate - “imprese creative e artigianali” ci sono decine di migliaia di organizzazioni di Terzo settore che già gestiscono attività culturali tra cui anche “progetti per investimenti su luoghi identitari sul territorio”;
- nel settore dell’agricoltura sostenibile e dell’economia circolare, dove le forme cooperative costituiscono uno dei maggiori player e stanno portando avanti importanti innovazioni sia nel rendere più sostenibili le produzioni delle aziende associate, che nel recupero delle terre incolte - ad esempio con le esperienze di agricoltura sociale - e nella produzione di energia da biomasse;
- nel potenziamento delle competenze e del diritto allo studio dove le varie organizzazioni di Terzo settore garantiscono già ora, avendovi spesso investito proprie risorse, tutta l’offerta privata di scuole per l’infanzia, un grande numero di asili nido e praticamente tutti i servizi territoriali di sostegno ai minori con difficoltà di apprendimento; richiamarne esplicitamente ruolo e funzioni avrebbe reso il testo in cui sono contenute le misure meno generiche rispetto alla funzione ancillare che ora vi compare;
- nelle politiche del lavoro dove gli interventi richiamati vedono già ora il Terzo settore e le imprese sociali in prima linea: nel servizio civile dal momento che sono queste organizzazioni che garantiscono il maggior numero di posti e portano avanti progetti non solo ad elevata valenza sociale, ma anche in grado di garantire ai giovani in servizio la formazione di skill che aiutano l’inserimento nel mercato del lavoro e spesso nella stessa organizzazione a fine progetto; nell’inserimento lavorativo di persone vulnerabili o svantaggiate, dove meritavano almeno un accenno e l’indicazione di qualche intervento di sostegno le più di 5.000 cooperative di inserimento lavorativo con oltre 40.000 svantaggiati regolarmente assunti e remunerati nonostante nel tempo l’assegnazione di lavori da parte delle amministrazioni sia diventata via via più scarsa e meno remunerativa; gli interventi sui Neet che ad oggi vedono impegnate quasi solo organizzazioni di Terzo settore con proprie risorse;
- negli interventi di coesione territoriale dove al posto degli abusati richiami generici a “infrastrutture sociali e misure a supporto dell’imprenditoria giovanile e alla transizione ecologica” era certamente meglio richiamare il potenziale ormai consolidato delle esperienze di amministrazione condivisa e delle cooperative e imprese di comunità. Diventa cruciale il tema del ricupero dei borghi e delle arre interne dove la presenza delle reti associative e' spesso l'unica sentinella sociale rimasta sul territorio.
- negli interventi per “potenziare e riorientare il SSN verso un modello incentrato sui territori e sulle reti di assistenza socio-sanitaria” dove già oggi non è possibile prescindere dalle attività che vedono impegnate organizzazioni di Terzo settore e imprese sociali: dal servizio di trasporto infermi alle varie forme - da quelle più leggere a quelle organizzativamente più impegnative - di assistenza e medicina domiciliare. Bisogna orientarsi verso un welfare di matrice comunitaria come principale sostegno per le famiglie. Infatti, nella media nazionale, la sola componente cooperativa pesa sul totale del valore aggiunto prodotto dalla componente privata nel settore della sanità e assistenza sociale per il 46%, con punte superiori al 60% in molte regioni del Nord. Si può davvero pensare di riformare il sistema sanitario in senso territoriale prescindendo da questa componente, o limitandone il contributo solo al tema dell’inclusione?
Nelle ultime due settimane molti rappresentanti del Terzo settore sono intervenuti sul tema (leggere qui) e Il Forum del Terzo settore pochi giorni fa ha presentato le sue proposte a Giuseppe Conte (leggere qui).
Il prossimo 3 febbraio Vita vuole fornire l'occazione per una ulteriore riflessione sul Recovery Plan favorendo il confronto tra esperti e leadership del Terzo settore così da poter contribuire ad un contributo di idee e di proposte fattivo.
Parteciperanno Stefano Zamagni, Mario Calderini, Sabina De Luca, Gianluca Salvatori, Eleonora Vanni, Marco Leonardi, Chiara Saraceno, Giampaolo Silvestri, Carlo Borgomeo, Claudia Fiaschi, Luigi Bobba.
► Quando: Mercoledì 3 febbraio alle ore 15,30
► Dove: sulla pagina Facebook di Vita