Nelle scarpe dei profughi per trovare soluzioni creative

Data 19.04.2016
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Osano arrivare dal mondo e ci mettono a soqquadro. Interrompono il ritmo della vita di una metropoli come Milano, che non è sola in questa esperienza di stravolgimento, ma particolarmente colpita.I profughi si presentano in numeri sempre più imponenti di mese in mese, di anno in anno. E gli esperti, incrociando dati della geopolitica, bollettini di guerra e meteo, annunciano arrivi ancor più massicci e minacciosi per il prossimo periodo.

Di Maria Laura Conte, da La Repubblica Milano

Eppure fughe dalla realtà non sono ammissibili. Soprattutto per Milano che ha inciso nelle sue pietre un carattere originale: "Fra le sue pietre e le tue nebbie faccio villeggiatura. Mi riposo in piazza Duomo". Certo Saba non aveva in mente il riposo dei profughi, in transito per Milano o decisi a restarci, quando componeva quei suoi versi, ma l'essenza di questa città sì. La sua "vocazione": tra le sue pietre e nebbie si stende l'anima di Milano, città del mondo, all'avanguardia per la sua creatività e capacità di innovare rimanendo radicata nella parte più feconda della sua tradizione antica. Lo mostra l'architettura, lo documentano la moda, l'arte, la densità di vita. Perciò dalla sua essenza stessa, non da ospiti sgraditi, è sollecitata oggi a trovare soluzioni sempre nuove, a testare pratiche buone di accoglienza: buone in quanto adeguate alla misura del fenomeno e ragionevoli.

La misura è quella propria di un "cambiamento epocale" come l'ha battezzato papa Francesco, rifiutando l'idea che quella che viviamo sia solo un un'epoca di cambiamento, cioè qualcosa di temporaneo che bisogna solo aspettare che passi ma la creatività necessaria per stare di fronte a un fenomeno che nessun tipo di barriera - neppure la più tecnologica - è in grado di trattenere, trova nuova linfa in un'attitudine vitale che chiede un piccolo sforzo: l'immedesimazione.

Provare a infilarsi nelle scarpe di chi si mette in cammino costretto a girare le spalle alla sua dimora e al suo villaggio, a buttarsi avanti in un destino incerto; immedesimarsi con la madre che attraversa confini di sangue con addosso il fardello della responsabilità di garantire una chance ai suoi figli; provare a pensarsi come quei bambini mentre camminano scalzi nel fango. Istantaneamente tutto cambia e si accendono nuove idee per affrontare il tema profughi. Non è un'opzione sentimentale, ma un modo molto concreto per cominciare a mettere a fuoco tutto il percorso dei profughi. Perché la loro vicenda non comincia qui, anche se a un certo punto sbatte contro la nostra stazione Centrale o le nostre case.

Comincia più lontano ed è da là che la ricerca di soluzioni deve cominciare. Si può, anzi si deve, lavorare insieme tra soggetti della società civile, istituzioni nazionali e sovranazionali, proprio per inventare e realizzare progetti che, sviluppandosi lungo tutto il tragitto di chi scappa, possano con realismo sciogliere alcuni nodi decisivi: progetti per offrire un'alternativa alla fuga in quei Paesi dove questo è possibile; offrire lavoro a chi sosta in terre intermedie perché non diventino il punto di imbarco verso viaggi di morte; e infine accogliere chi arriva qui in un modo che ne rispetti la dignità e garantisca la sicurezza di tutti. La verità che si legge in filigrana nei resoconti dei nostri giornali è che nessuno si può chiamare fuori. Noi pure siamo un tassello di quel lungo percorso da tenere presente. E Milano lo sa.