di Alessandra Muglia - Corriere della Sera
La ong italiana AVSI in prima linea con Unicef per favorire i ricongiungimenti familiari dei minori rimasti senza famiglia. L’allarme Onu: "una delle peggiori catastrofi legate al clima nella storia dell’Africa"
A una settimana dal passaggio di Idai, la portata del disastro e le sfide da affrontare emergono man mano con più chiarezza. Si profila un’ecatombe: il bilancio delle vittime nei tre Paesi africani colpiti dal ciclone continua a salire, al momento sfiora gli 800 morti, di cui più della metà in Mozambico. Altre 259 persone hanno perso la vita in Zimbabwe e almeno 56 in Malawi.
Peggiore catastrofe climatica in Africa
«Una delle peggiori catastrofi legate al clima nella storia dell’Africa» l’ha definito il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha parlato di «altro campanello d’allarme sui pericoli di cambiamenti climatici, in particolare nei paesi vulnerabili», sprovvisti di infrastrutture e fondi per difendersi. Questi eventi stanno diventando più frequenti e devastanti «e ciò peggiorerà se non agiamo adesso» ha messo in guardia lanciando un appello alla comunità internazionale a finanziare rapidamente gli aiuti di emergenza per i tre Paesi.
Il più colpito è il Mozambico, paese lungo e stretto affacciato sull’Oceano Indiano. Il più esposto con i suoi 2400 chilometri di costa.
La protezione di Beira non ha retto
Particolarmente a rischio nel continente sono città costiere in rapida crescita come Beira. E pensare che questa città del Mozambico di 500 mila abitanti distrutta all’80% si era dotata di un sistema di canali per mettersi al riparo dagli effetti del cambiamento climatico, un progetto finanziato dalla Banca Mondiale: il sistema ha funzionato contro le alluvioni di due mesi fa, ma non ha retto alla furia di Idai, constata con amarezza il sindaco-ingegnere Daviz Simango. «Questo ciclone ha spazzato via tutto quello che abbiamo costruito in più di 100 anni» dice.
Bambini soli
«Ho trovato una città rasa al suolo» dice al Corriere Michele Torti, emergency coordinator di AVSI, atterrato questa mattina a Beira. «Pensi che il coordinamento della risposta umanitaria si svolge nell’hangar dell’aeroporto, le agenzie dell’Onu hanno trasferito lì le loro “sedi”». Questa ong italiana, presente in Mozambico dagli anni ‘90, in prima linea sul fronte dell’istruzione, della difesa dell’ambiente e dello sviluppo delle periferie urbane, è tra le prime ad attivarsi per identificare e aiutare i bambini rimasti soli, perché i genitori sono morti o si sono rifugiati altrove.
Finora le uniche preoccupazioni sono state quelle di salvare vite e distribuire cibo in massa, ora iniziamo a occuparci anche di riunificazioni familiari e di proteggere i tantissimi bambini rimasti soli
Michele Torti, emergency coordinator AVSI
Oltre la metà delle persone colpite dal ciclone sono minori, stima l’Unicef. «Si parla di un milione di bambini colpiti su un totale di un milione e 800mila vittime, ma sono numeri non confermati, ci sono interi distretti ancora sommersi dall’acqua, quindi non raggiungibili» spiega Martina Zavagli, capo missione AVSI in Mozambico.
Inoltre la popolazione è in movimento: da lunedì il ponte che collega Beira al resto del Paese è stato ripristinato, e ora ci sono sopravvissuti in arrivo a Beira dalle zone rurali alla ricerca di cibo e aiuti, e quelli che lasciano i ripari di fortuna dove si erano ammassati dopo il ciclone — per lo più scuole ed edifici pubblici — ed escono dalla città verso i villaggi: provano a tornare a casa.