I gruppi armati attaccano e uccidono ogni giorno in uno dei Paesi più ricchi di risorse naturali al mondo. Il conflitto senza fine ha prodotto quasi due milioni di sfollati. Il viaggio per portare gli aiuti insieme alla ong italiana Fondazione AVSI.
di Daniela Capoferri, communication officer AVSI in RDCongo, da La Stampa.it, 9 giugno 2016
Siamo nel Sud Kivu, provincia orientale della Repubblica Democratica del Congo a circa due ore di auto da Goma e oggi è il primo giorno di distribuzione di “cash” agli sfollati di Minova. Denaro contante per circa 3mila persone che da mesi ormai abitano in quest'area, dopo aver lasciato tutto in fuga dagli incessanti combattimenti tra le formazioni di ribelli nelle regioni circostanti.
Si chiama Unconditional Cash Transfer ed é l'approccio innovativo utilizzato dalle ong che gestiscono il progetto ARCCIII. Ha le forme di un assegno di circa 120 dollari : il valore di un materasso, una capra e cibo, almeno per qualche mese.
La strada per raggiungere Minova è sterrata, una tormentata gimcana tra buche, pozzanghere e profondi dislivelli perché la stagione secca sembra non voler arrivare. La natura è di una bellezza antica, che ci precede. Colline tutt'intorno e montagne verdi fino all'orizzonte, fiori coloratissimi, alberi di banano e girasoli altissimi. Le acque del lago Kivu non ci abbandonano: specchio pericoloso che a riva diventa acqua scura e sporca. Eppure ci sono alcuni pescatori, chi fa il bucato e chi fa il bagno.
Il paesaggio vicino è segnato dalla presenza di bambini piccoli che giocano nel fango con capre e galline nei villaggi, capanne in terra, donne incinta e cariche di manioca, di legna, di banane o di figli. Affaticate, pazienti, sorridenti. Uomini seduti a guardare il vuoto, a chiacchierare.
Dicono che l'aquila che vola alta nel cielo controlli un vasto territorio con un solo sguardo, che il modo migliore per vedere il quadro completo sia dall'alto. Ma in Repubblica Democratica del Congo abbiamo bisogno di vedere quello che c'è vicino a noi per comprendere come uno dei Paesi più ricchi al mondo di cobalto, diamanti e risorse naturali, abbia uno dei PIL più bassi in assoluto e dove la speranza di vita è 48 anni.
“Qui l'inferno è quotidiano” ci racconta Ayingeneye Nyiramanjebe, madre di tre bambini e sfollata nel campo di Rwamiko, a circa due ore di marcia da Minova, dove oggi riceverà l'assistenza. “Le vittime sono centinaia. I gruppi armati arrivano nei villaggi e uccidono. Senza ragione, senza una logica”.
Che siano mercenari, più o meno travestiti da milizie etniche o da gruppi rivoluzionari, o gruppi militari più strutturati come il Dflr (Democratic Forces for the Liberation of Rwanda), nato nel 2000 e forte di sei-settemila miliziani, o i Mai Mai, noti come i primi reclutatori di bambini soldato. A farne le spese resta sempre la popolazione. Secondo l'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati, al momento i profughi sono 1,8 milioni che si sommano ai 398mila rifugiati. Molti di loro vivono in campi improvvisati, lontani dalla più elementare sussistenza. Tutti hanno negli occhi il terrore di ciò che hanno vissuto.
I problemi del Paese sono cominciati quando Leopoldo II del Belgio ha deciso di farne una sua proprietà personale e da allora la Repubblica Democratica del Congo non conosce tregua. Le elezioni presidenziali previste quest'anno, ma che continuano ad essere rimandate, sono solo una delle tappe di questa storia tormentata. In mezzo ci sono uomini e donne che continuano a soffrire.
Con il progetto ARCCIII, portato avanti da un consorzio di ong tra cui l‘italiana Fondazione AVSI, un totale di circa 7000 famiglie della provincia del Sud Kivu ricevono assistenza. Attraverso un approccio innovativo, il cosidetto Unconditional Cash Transfer, AVSI garantisce loro un aiuto monetario libero da ogni vincolo.
Saranno le stesse famiglie a scegliere come spendere i 120 dollari ricevuti. Una cifra calcolata attraverso complessi calcoli matematici che tengono conto della capacità di assorbimento del mercato, il costo della vita e le necessità delle famiglie. Queste ultime sono le vere protagoniste di un percorso individualizzato: le attività di formazione ed educazione alle buone pratiche igienico-sanitarie, quelle dedicate allo sviluppo delle capacità imprenditoriali e le sensibilizzazioni per la promozione della cultura della pace contribuiscono alla creazione di un ambiente propizio agli interventi di Cash Transfer.
Dopo un mese dalle prime distribuzioni lo staff di AVSI incontrerà le famiglie beneficiarie, discuterà con loro di come è stato speso il denaro e valuterà da vicino l'impatto dell'intervento.
“Non è stato facile organizzare questo intervento, né gestire i malcontenti. Qualche famiglia ha venduto il nome, qualcuno ha perso i coupon che danno diritto all'assegno, altri sono stati derubati. Ora ci ritroviamo a dover smascherare i falsi beneficiari”, ci racconta Paola, Coordinatrice dei Progetti di urgenza di AVSI in RDC.
Però oggi è più semplice raccogliere sorrisi che lamentele. Poco importano le lunghe ore di marcia per raggiungere il luogo della distribuzione, quelle dell'attesa passata sotto il sole cocente o con i piedi nel fango. Ciò che conta è tornare a “casa” senza farsi rubare i soldi, magari trasportando già qualcosa sulla schiena approfittando del mercato di Minova.
“Ho 73 anni, mia moglie 60. Quattro mesi fa ci hanno bruciato la casa. Da allora abbiamo perso tutto. Eravamo contadini, ora non siamo niente”. Victor è piuttosto sconsolato ma quando la moglie torna, mostrandogli le banconote, finalmente sorride. “Stanotte dormiremo su un materasso”. E chissà che questo non sia l'inizio per tornare a essere qualcuno. O semplicemente essere.