di Sara Bernacchia - La Repubblica edizione di Milano
Studenti a confronto, 160 ragazzi di seconda media siedono nella platea dell’auditorium Baldoni a Bonola, dieci loro coetanei sono in classe. Il collegamento via Skype annulla la distanza di 3.500 chilometri che separa Milano dal Libano e i ragazzi si vedono: si somigliano, non fosse per il velo che fascia i capelli delle bambine non si distinguerebbero. Si parte con le domande con Imane Habib, operatrice di Avsi, a fare da interprete e Giulia che chiede «com’era la vita prima della guerra?». «Era bella, molto felice» risponde una ragazzina con l’hijab azzurro, che racconta di essere scappata da Idlib, la sua città, a nove anni. Lei e i compagni sono profughi siriani che vivono in Libano, per la maggior parte nei campi profughi, e partecipano al progetto Back to the future, finanziato dall’Unione Europea e organizzato da Avsi, Terre des Hommes Italia, Terre des Hommes Olanda e War Child Olanda, che coinvolge 21.700 bambini e 500 insegnati. L’obiettivo del progetto, spiega agli studenti dell`istituto comprensivo Borsi di Milano Ilaria Masieri di Terre des Hommes, è «ridurre le conseguenze che la guerra ha avuto sulla vita di questi ragazzi e delle loro famiglie». E per questo l’istruzione è fondamentale, perché rappresenta la carta che possono giocarsi per avere un futuro. «La difficoltà maggiore è farli ammettere alle scuole libanesi - racconta Masieri - dove le materie scientifiche si studiano in inglese e in francese, lingue che loro non conoscono. Nei nostri centri facciamo alfabetizzazione per portarli a sostenere gli esami di ammissione».
Le risposte, prima timide e misurate, diventano più articolate e i ragazzi siriani alzano la mano entusiasti per prendere la parola. Se alla domanda su cosa vorrebbero fare da grandi le risposte variano dal calciatore all’insegnante di inglese, dalla parrucchiera all’architetto, quelle su cosa sognano per il futuro convergono. Tutti vorrebbero tornare «a casa, ma come era prima, e con le stesse persone», perché sperano che la Siria «torni ad essere come prima della guerra, anzi più sviluppata». Il confronto, per quanto mediato e preparato con gli insegnanti, non lascia indifferenti i ragazzi. «Vederli e sentirli parlare è diverso dal discutere in classe di ciò che hanno vissuto - spiega Cecilia della II H - si percepisce la loro emozione». E, inevitabile, scatta il confronto. «Molte cose che noi diamo per scontate, come la scuola, per loro sono fondamentali, anche per il futuro - aggiunge la compagna Gaia -. Hanno ripetuto che vorrebbero tornare alla loro vita di prima, si capisce che soffrono molto».