Il patto tra ong e aziende crea vera integrazione. Con l’Accademia del Panino Giusto un lavoro per chi fugge dalle guerre

Data 09.08.2017

La felicità per Berry Richard è passata per un panino. Un "Panino giusto" però. Quello che ha cambiato la sua vita, da rifugiato nigeriano in fuga da povertà e ingiustizie a ragazzo di 22 anni pieno di progetti e speranze. Perché il volontariato in Italia è anche questo: restituire concretamente un futuro a chi è stato depredato da guerre, massacri, povertà, carestie.

Dietro la nuova vita di Berry, che oggi lavora nella catena gourmet del "Panino giusto" c'è l'alleanza tra una Ong, l'Avsi e un'impresa di ristorazione, ("Panino Giusto") che ha formato nella sua accademia e poi assunto in piena regola, un gruppo di giovani rifugiati.

«I numeri sono ancora piccoli, ma per noi è una vittoria, la conferma che la vera integrazione passa attraverso il lavoro e non l'assistenzialismo», dice orgoglioso Giampaolo Silvestri, segretario generale di Avsi.

Ossia una tra le dieci più grandi Ong italiane, nata a Milano negli anni Settanta, dichiaratamente ispirata alla dottrina sociale di don Luigi Giussani, oggi con progetti in 30 paesi del mondo, in particolare l'Africa, uno staff di 1.300 collaboratori, sostenuta da un foltissimo numero di donatori privati.

Racconta Silvestri: «Noi non interveniamo nella prima assistenza, cioè sugli sbarchi, ma nella seconda fase, forse quella più difficile, dell'integrazione attraverso il lavoro e lo studio, in Italia così come nel resto del mondo. In Libano, in Kenya, in Uganda, in Ruanda, ovunque operiamo. Perchè la vera malattia di chi si ritrova profugo in un paese straniero è l'inattività, il vivere di assistenzialismo».

Ecco allora che partendo dai progetti esteri, sempre basati, aggiunge Silvestri, «nella ricerca di un coinvolgimento del mercato, cioè delle aziende», l'Avsi ha creato anche in Italia una allena virtuosa tra volontariato e impresa. Ispirandosi, ad esempio, all'esperienza dei profughi siriani nei campi che Avsi gestisce in Libano, inseriti in corsi di agraria, «così che un giorno possano tornare a coltivare con metodi moderni le loro terre». O le scuole professionali in Kenya per rifugiati somali, create in collaborazione con le imprese locali, perché una volta finiti i corsi le ragazze e i ragazzi trovino effettivamente un'occupazione. Da tutto questo nasce "Panino giusto".

«Grazie alla collaborazione con un nostro sostenitore storico, Antonio Civita, fondatore di una catena di ristorazione, abbiamo potuto dare ad un gruppo di giovani rifugiati, un lavoro vero», spiega Silvestri.

I nuovi addetti sono stati formati nell'Accademia del Panino, altra creatura di Antonio Civita, e poi assunti regolarmente. Insomma una specie di sogno, come dice con l'entusiasmo nella voce uno di loro, Berry Richard, arrivato in Italia 3 anni fa da Benin City, dopo il calvario di un viaggio da clandestino, tra fame, paura e prigionia.

«Qui ho cambiato vita, posso pagarmi una stanza, adoro il mio lavoro, ogni giorno imparo qualcosa di nuovo... Eh sì, ho anche una ragazza. Per questo ci tengo ai miei panini: se il lavoro va, posso anche sposarmi».

Un'esperienza così importante di alleanza tra etica e impresa che adesso anche altri imprenditori stanno seguendo l'esempio del "Panino giusto". Da "California Bakery" a "Pizzeria Spontini".

«Lo schema è lo stesso - dice Silvestri - formazione, stage, assunzione. E quindi dignità per chi ha perso tutto. Speranza. Integrazione».