Il cardinale Zenari: «In Siria si muore più per mancanza di cure che sotto le bombe»

Data 10.02.2018

di Gian Guido Vecchi

CITTÀ DEL VATICANO «L'altro giorno abbiamo sentito uno scoppio proprio qui sotto, un altro colpo di mortaio. Gli aerei governativi passano a ogni ora, bombardano a una quindicina di chilometri da qui. I mortai, invece, di solito arrivano nel primo pomeriggio, si dice siano i ribelli. Anche la Città vecchia non è più sicura. Non è tanto l'esplosione, sono le schegge».

Il cardinale Mario Zenari, dal 2008 nunzio apostolico a Damasco, ha passato diciotto anni in zone di guerra, compresi i sette del conflitto siriano. «In Africa mi avevano insegnato un proverbio: quando gli elefanti si scontrano, chi ne soffre è l'erba del prato. E l'erba ora è la Siria, come lo Yemen: le città, i civili. Non dimentichiamo il dolore della gente, i bambini».

Cosa sta succedendo in Siria, eminenza?

«E difficile capire questo conflitto. In Europa la gente pensava che in Siria, sconfitto l'Isis, si andasse verso una soluzione politica. E invece adesso è peggio. Ci sono una decina di Paesi con armi e militari, nel territorio. Il cosiddetto Stato Islamico era un problema gravissimo, chiaro, ma quasi non era il vero problema. Perché almeno, seppure con strategie diverse, erano più o meno tutti d'accordo nell'eliminarlo. E ora le superpotenze e le potenze regionali si combattono tra loro. La si vede riapparire in tutta la sua crudeltà, ma la guerra non è mai finita».

Come si vive?

«Da Idlib ad Afrin, al confine con la Turchia, ci sono centinaia di morti e feriti, migliaia di sfollati. A quindici chilometri da dove le parlo c'è l'inferno. Nelle nostre scuole, qui a Damasco, conosco genitori che non mandano più i figli a scuola. I mortai cadono all'ora di uscita. All'ospedale San Luigi sono andato a visitare una ragazza di quindici anni, Cristina, canta nel coro della nostra chiesa. Le hanno dovuto amputare la gamba sinistra. È stata colpita il 22 gennaio, fuori dalla scuola. L'amica che stava accanto a lei, Rita, è rimasta uccisa sul colpo. Poco distante c'era una donna ferita, il marito intubato nella stanza accanto. Il figlio di tre anni era arrivato morto in ospedale, non sapevano niente, uno psicologo stava cercando di prepararla».

Che si può fare per fermare tutto questo?

«Nel 2013, quando un attacco chimico qui vicino fece millequattrocento morti, fummo a un passo dall'intervento militare internazionale, un rischio tremendo...».

Francesco convocò una giornata mondiale di preghiera per "il dialogo e il negoziato", temeva una guerra mondiale...

«E accadde una specie di miracolo, la Siria firmò il protocollo per il bando delle armi chimiche. Un risultato importante, nonostante le accuse successive. Fosse andata altrimenti, non sarei qui a parlarle. Però questo accadde perché Obama e Putin trovarono un accordo. li problema è che ora la situazione è cambiata».

In che senso?

«Ci sono state l'Ucraina, la Crimea. E questo ha fatto la differenza, ne è risultata una sorta di nuova Guerra fredda tra Usa e Russia. Le potenze locali seminano distruzione. Tuttavia, se le due superpotenze si mettessero d'accordo, avrebbe un peso notevole».

Il Papa, prima di ricevere Erdogan, ha indetto un`altra giornata di preghiera per la pace i123 febbraio...

«La Santa Sede, oltre alla preghiera, mantiene aperti tutti i suoi canali di dialogo. Ed è impegnata nell`assistenza umanitaria, sanità, cibo, educazione. La gente perde il lavoro, non ha più soldi né mutua, metà degli ospedali pubblici è fuori uso. Abbiamo creato il progetto "Ospedali aperti" con Avsi per curare gli indigenti nei nostri tre ospedali, due a Damasco e uno ad Aleppo. Si muore più per mancanza di cure che sotto le bombe. E non basta».

Che altro accade?

«La guerra è una fabbrica di male. All'inizio mi impressionava passare per certi quartieri di Homs o Aleppo. Ora mi colpiscono ancor più le distruzioni interne. Un palazzo si ricostruisce. Ma pensi a quanto odio è cresciuto in sette anni, sete di vendetta, ferite spirituali, bimbi che hanno visto genitori e fratelli uccisi... Chi ricostruisce?».