Un incontro organizzato da AVSI e Fondazione Enrico Mattei sugli effetti dei cambiamenti climatici per le popolazioni più vulnerabili, specie nei Paesi in via di sviluppo, ispirato alle lezioni apprese da un progetto finanziato dalla Commissione europea in Haiti e Dominicana, anche in vista dell'agenda dello sviluppo sostenibile. Casi concreti per arginare gli effetti descritti nel documento IPCC appena pubblicato.
Eventi meteorologici estremi potranno portare alla brusca riduzione dei raccolti agricoli e all'evoluzione di malattie, conflitti e spostamenti di popolazioni. Queste le conseguenze dei cambiamenti climatici che non si limiteranno ai Paesi più poveri del mondo, data l'integrazione dei sistemi economici mondiali e la probabilità di fenomeni migratori importanti. Il workshop “I cambiamenti climatici cambiano anche la vita?”, organizzato con il patrocinio della Commissione europea da Fondazione Eni Enrico Mattei e Fondazione AVSI lo scorso 17 aprile a Milano, ha provato a mettere a fuoco queste previsioni confrontandole con un caso concreto relativo ad un'area a rischio, quella caraibica.
Proprio mentre a livello mondiale si sta procedendo con la definizione dell'Agenda post 2015 imperniandola sullo sviluppo sostenibile, uno studio della Columbia University su un caso progettuale in Haiti evidenzia come gli interventi di sviluppo in zone di calamità climatiche debbano includere la dimensione ambientale insieme a quella sociale ed economica proprio per prevenire questi rischi. Mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici significa includere servizi e opportunità come la scuola, e affrontare il problema della povertà energetica. Fondamentali sono la valorizzazione delle capacità di adattamento delle comunità locali o “resilienza”, e un'attenzione globale allo sviluppo umano.
Ad aprire il dibattito, dopo una introduzione di Alberto Piatti, presidente di AVSI, è stato Carlo Carraro, Direttore del programma Climate Change and Sustainable Development della Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM), che ha spiegato come il tema dei cambiamenti climatici abbia una rilevanza economica che riguarda non solo l'ambiente, ma soprattutto le relazioni internazionali e finanziarie tra gli Stati. "È una questione di sviluppo economico e quindi ha a che fare con la povertà, con i bisogni dei Paesi in via di sviluppo, con gli impatti che i cambiamenti climatici hanno e avranno in Europa e, soprattutto, nelle regioni meno ricche della Terra". "C'è una dimensione etica che chiama in causa la collaborazione tra Paesi senza la quale non si riesce a intervenire in maniera efficace né sui cambiamenti climatici, né sullo sviluppo del Pianeta".
In seguito, è intervenuto Massimo Tavoni, Deputy Coordinator del programma Climate Change and Sustainable Development della Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM), che ha snoccialato dati e analisi sul tema della povertà energetica. Sono 3 miliardi le persone che vivono sotto la soglia della povertà energetica, così come gran parte dei continenti africano e asiatico, mentre ci sono 800 milioni di persone che consumano oltre il 55% dell'energia globale prodotta. A ciò va aggiunto che l'incidenza di misure di contro la povertà energetica e garantire a 3 miliardi di persone livelli accettabili di consumo energetico avrebbe un impatto quasi nullo sul surriscaldamento globale.E' poi stato il turno di Laura Giappichelli, Policy Officer del Global Climate Change Alliance della Commissione Europea e di Melika Edquist della Columbia University che ha parlato dello studio da lei condotta sulla fragilità ambientale di Haiti e sul rapporto tra migrazioni e rischi climatici. "Il rischio climatico ad Haiti è un fattore secondario nei ciclici fenomeni di migrazione, intervenuti indirettamente sulla condizione di povertà delle popolazioni e sulla disponibilità di servizi essenziali, vere motivazioni alla base degli spostamenti di popolazione. E' su questi elementi che bisgna intervenire per spezzare il circolo vizioso tra povertà e disastri naturali".
Importante contributo al dibattito è stato dato anche dall'intervento di Denis Caton, del parco nazionale Pic Macaya di Haiti, che ha presentato l'esempio pratico del parco nazionale haitiano, oggetto del programma sulla sostenibilità ambientale di AVSI che coinvolge 50mila famiglie di contadini la cui sussistenza dipende dalle risorse naturali dell'area.
A concludere il workshop, Alberto Piatti, presidente di AVSI che rimarcato l'importanza degli interventi di sviluppo: “In contesti a forte rischio ambientale è necessario intervenire al fine di assicurare alle popolazioni attività in grado di generare reddito, a partire dall'agricoltura, con l'obiettivo di spezzare quel circolo vizioso che lega la povertà ai disastri ambientali – ha spiegato Alberto Piatti, presidente di Fondazione AVSI – Una priorità è quella di investire sull'educazione e su scuole accessibili e di qualità sul territorio. Le conseguenze positive dell'educazione hanno un valore potenzialmente inestimabile nel lungo periodo, proprio perché in grado di limitare efficacemente il tasso di abbandono nelle zone rurali".
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