Donatori, partner, giovani, donne e bambini tutti insieme il 31 ottobre a Kigali in Ruanda per festeggiare insieme i 20 anni di AVSI nel paese.“Il nostro impegno, in vent'anni, non è cambiato – spiega Lorette Birara, rappresentante di AVSI Ruanda – Occuparsi delle conseguenze del genocidio è più che mai necessario. E questo vuol dire prendersi cura della vita dei ruandesi, e ridar loro un valore come persone per un futuro di pace”
Era il 6 aprile del 1994, quando l'aereo dell'allora presidente in carica del Ruanda, Juvenal Habyarimana fu abbattuto a Kigali da alcuni estremisti del suo stesso partito: troppe e inaccettabili le concessioni fatte agli odiati tutsi del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr) nei colloqui di pace del giorno prima in Tanzania. La sua morte fu invece il pretesto per scatenare gli “squadroni della morte” di etnia hutu, spronati ad accelerare i massacri dalla radio nazionale e dalle truppe regolari ruandesi. In soli 100 giorni, almeno un milione di persone furono massacrate e gli scontri etnici tra hutu e tutsi passarono alla storia come uno dei più terribili esempi di genocidio che l'uomo ricordi.
Quelli furono anche i giorni dell'arrivo di AVSI in Ruanda, tra le prime ong a varcare il confine con l'Uganda per sostenere le vittime del conflitto con interventi di emergenza. “Da subito ci rendemmo conto che per ridare una speranza a quel popolo distrutto nella mente e nel corpo da quello che era successo occorreva ridare pace alla mente dei bambini – spiega Lucia Castelli, per anni cooperante di AVSI in Ruanda - AVSI è stata una delle prime organizzazioni a fare interventi psicosociali con i bambini vittime del genocidio. Per ridare pace alle menti e ridestare fiducia in se stessi e negli adulti occorre fare l'esperienza di un incontro, di uno sguardo che valorizzi, comprenda ed accolga, anche l'orrore vissuto e il senso di colpa che spesso lo accompagna”.
Aldo era uno di quei bambini. Andava alle elementari quando entrò nel programma di sostegno a distanza che gli permise di andare a scuola e di avere una vita migliore e dignitosa, nonostante i terribili giorni del genocidio, vissuti insieme alla madre in fuga e nel terrore.
“Gli assistenti sociali mi diedero una grande mano – racconta Aldo - Grazie a loro ho avuto un supporto tangibile e la forza di andare avanti, studiare e costruire il mio futuro. Ma non solo, grazie a loro, alle attività insieme agli altri miei compagni, è cresciuta la mia consapevolezza sul vero valore della vita. Ora sento di avere i mezzi necessari ad andare avanti per la mia strada da solo, costruirmi un futuro di unità e riconciliazione per me e la mia terra. Per me, le commemorazioni del genocidio coincidono con il mio primo passo verso un futuro migliore”.
Oggi, il nuovo Ruanda del presidente Paul Kagame, tra i fondatori del Fpr, è nel mezzo di una fase di forte crescita economica. Gran parte della popolazione ruandese, però, si trova ancora a fare i conti con le conseguenze del conflitto e con nuovi bisogni da affrontare. Secondo l'Unicef, più della metà dei bambini ruandesi sotto i cinque anni soffre di malnutrizione cronica e negli ultimi dieci anni è cresciuta del 50% la mortalità infantile dovuta all'AIDS, nonostante i significativi progressi compiuti nel prevenire la trasmissione del virus da madre a bambino (MCTC).
Il lavoro di AVSI
Fondazione AVSI, che proprio nel 1994 ha iniziato il suo lavoro al fianco delle popolazioni ruandesi, oggi opera in tutto il Paese nei settori educativo e sanitario, ma anche con progetti di inserimento al lavoro. Dagli interventi di emergenza degli anni '90, gli operatori portano avanti progetti più a lungo termine, pensati come in grado di avviare un processo duraturo di sviluppo. A cominciare dai bambini, sin dal principio al centro del lavoro di AVSI in Ruanda.
“Lavorare in un paese con un passato così pesante è complicato, ma necessario a restituire alle persone la possibilità di recuperare la loro umanità – sottolinea Alberto Piatti, presidente di Fondazione AVSI - E questo è possibile solo attraverso il rapporto personale, attraverso un incontro umano in grado di risvegliare il desiderio di vita e l'esigenza di un significato dell'esistenza”.
La riconciliazione
Oggi, dopo vent'anni, la popolazione ruandese sta tentando con fatica di superare le divisioni, nonostante le ferite della guerra siano aperte e il percorso verso un futuro di pace e riconciliazione appaia ancora lungo.
"In vent'anni, i diversi gruppi etnici hanno capito che possono vivere serenamente insieme e condividere le ricchezze del Ruanda - racconta Jean, che all'epoca del genocidio aveva 19 anni ed è stato costretto a nascondersi nei boschi per giorni. Oggi, ha un esercizio commerciale che ha creato grazie al supporto di AVSI, fa fatica a parlare dei terribili giorni dei massacri, ma sogna di vivere in un paese finalmente unito e riconciliato - Non è stato semplice. All'inizio i tutsi vivevano da soli, uscivano poco e solo insieme ad altri tutsi. Poi sono nate alcune cooperative di lavoro e anche grazie a queste esperienze abbiamo avuto la forza, insieme, di andare da loro, di vederci. Ora, invece, si sente aria di vera riconciliazione”.