Cosa c’entrano i rifugiati siriani con la riqualificazione di un parco pubblico in mezzo al deserto? Qweirah è una cittadina di circa 12.000 abitanti nel sud della Giordania. Ovunque, anche tra le case, dominano la sabbia e le tonalità del giallo. Gli altri colori che risaltano sono quelli dei rifiuti che copiosi si ammassano agli angoli delle strade insieme a carcasse arrugginite di auto e elettrodomestici. Il verde è assente così come l’agognata ombra. Ogni tanto compaiono gruppi di bambini e di bambine rigorosamente separati, signore velate, cammelli. E’ qui che Fondazione AVSI è stata incaricata dalla cooperazione tedesca (GIZ) di rigenerare alcuni spazi urbani, soprattutto il verde pubblico, e lo sta facendo alla sua maniera: coglie l’occasione per puntare più in alto, a uno sviluppo personale e comunitario integrale e integrato, a qualcosa di più di qualche metro quadro di verde in più.
Il progetto era già ambizioso e affascinante: far lavorare insieme i rifugiati siriani e la comunità giordana ospitante al fine di riqualificare l’unico parco pubblico esistente, ormai abbandonato, e altre infrastrutture urbane quali pensiline, strade, marciapiedi e biblioteca. Da qui si è partiti per costruire un percorso soprattutto educativo con l’obiettivo di coinvolgere tutti i membri della comunità, incluse le donne, promuovendone il protagonismo.
L’intento era ed è quello di educare le persone a prendersi cura del bene e della bellezza a livello comunitario, ma anche di promuovere la cura e la stima personale. Questo aspetto è fondamentale soprattutto per le donne che in queste città di provincia sono spesso relegate a un ruolo esclusivamente domestico e sono prive di possibilità di incontro tra loro e, ovviamente, con gli uomini.
Alice Boffi, cooperante AVSI
Un primo “miracolo” si è verificato il 30 agosto 2018, giorno della presentazione del progetto alla comunità. All’evento hanno partecipato uomini e donne, separati ma riuniti nello stesso luogo, ad ascoltare le stesse parole. In quel momento Abdallah Njadat, il sindaco della cittadina, ha cominciato a cambiare idea circa l’organizzazione (AVSI) e il fatto che avesse nominato capo-progetto una donna giovane, l’architetto Amani, da lui considerata poco adatta a trattare con i maschi della comunità. E non è tutto. AVSI e GIZ hanno voluto che fossero coinvolti anche i rifugiati siriani, ai quali nel vicino governatorato di Aqaba viene negato, per legge, il permesso di lavoro. Lo scetticismo del sindaco si è presto trasformato in entusiasmo osservando giordani e siriani all’opera insieme per riqualificare il parco e le donne intente a intessere tele che fungeranno da tettoie per l’ombra dell’area giochi e delle pensiline. Qui lo sviluppo passa anche dalla disponibilità di spazi ombreggiati.
Il parco era stato chiuso perché insicuro, soprattutto per le donne. Tutta la comunità è stata chiamata a contribuire al disegno delle infrastrutture fino al posizionamento delle piante e delle panchine, poste a cerchio, per favorire la convivialità. L’area giochi per i bambini è stata posta in mezzo, tra lo spazio dedicato agli uomini e quello dedicato alle donne.
La tensione a una visione di insieme e l’attenzione ai bisogni incontrati hanno costantemente accompagnato la realizzazione del progetto. Per esempio: alle mamme serviva un luogo sicuro dove lasciare i figli durante il lavoro, e così è sorto un servizio di assistenza che vede bambini - maschi e femmine, siriani e giordani – giocare, imparare e nutrirsi nello stesso luogo in cui le mamme tessono. Alle donne è stata proposta anche la partecipazione a corsi di formazione sia umana, che tecnica. All’inizio consideravano la prima una perdita di tempo, ma poi hanno obbligato la formatrice ad allungare il corso perché volevano “imparare” ancora di più a essere protagoniste, a prendere coscienza dei propri diritti, della propria dignità e ruolo. Alcune durante gli incontri si sono inaspettatamente aperte raccontando difficoltà e violenze subite tra le mura domestiche.
Per Manar, siriana di 18 anni, fuggita dalla devastazione di Aleppo, quella del laboratorio di tessitura è stata la prima esperienza lavorativa: “Per la prima volta mi sento orgogliosa di essere responsabile di qualche cosa e di esistere come persona completa nei confronti di mio marito che ora mi guarda e rispetta in una maniera diversa.” Una donna giordana, Eid Awad, insieme a 5 altre beneficiarie più giovani, ha deciso di trasformare ciò che ha appreso in un piccolo progetto di business, intessendo tappeti e altri elementi decorativi che potranno poi essere venduti ai turisti a Wadi Rum. Sono solo due esempi di esiti non previsti dal progetto che AVSI sta assecondando e supportando con altri fondi, modificando l’intervento originale grazie al rapporto fiduciario e alla disponibilità dei responsabili locali della cooperazione tedesca.
Il progetto sta avendo un così grande successo che GIZ ha chiesto ad AVSI di replicarlo, meglio sarebbe dire “riprodurlo”, in altre aree: in una frazione verrà rigenerato un altro spazio pubblico e una strada verrà asfaltata per raggiungerlo continuando fino ad un sito archeologico che potrà così essere valorizzato in collaborazione con il Ministero del Turismo. E, come sempre, ogni soluzione architettonico-urbanistica verrà condivisa con la comunità.
Gli architetti e ingegneri dello staff di progetto hanno raggiunto una certa popolarità in città, tanto che alla domanda “che cosa vorresti fare da grande”, i bambini rispondono quasi sempre “l’architetto”. E Tamer, un giovane muratore impiegato nel rifacimento del parco, con i soldi guadagnati ha deciso di sostenere l’esame di stato giordano per iscriversi all’università di ingegneria.