Fairouz, la “signora” aleppina delle pulizie, che non sciopera

Data 16.04.2017

È il sesto anniversario di una guerra iniziata sotto il nome sbagliato di primavera e sono 6 anni che Fairouz ha varcato quell’uscio di casa, scaraventata fuori da una vita normale, probabilmente dalla vita. «Certo che penso ad Aleppo e certo che vorrei tornare ora che è liberata, ma non ci è rimasto più niente. Anche qui in Libano non abbiamo niente, ma almeno le mie figlie stanno bene». Né la più grande, oggi 20 anni, né la più piccola, 15 anni, hanno potuto finire le scuole «perché in Libano costano troppo, mentre in Siria erano gratuite».

Questa è una storia tra milioni di altre simili, ma viene scritta a Beirut mentre le agenzie di stampa internazionali scrivono di cani contro i migranti, di muri, di fili spinati, di questi “fastidiosissimi” uomini/donne/bambini che occupano e disturbano il sonno di europei, americani e via dicendo che per invecchiare bene non gradiscono vedere uno straniero che passeggia come loro nelle viuzze del quartiere o del paesello. Inutile raccontare che studi molto seri dicono che – fino ad oggi – tutti questi migranti che avrebbero “invaso” il nostro Paese, non hanno portato via nessun posto di lavoro, hanno contribuito alla crescita del PIL e al rallentamento della decrescita demografica. Niente da fare: siamo invasi e chiediamo protezione; questo quello che ci dicono alcuni politici di posizioni estreme in Paesi diversi. Probabilmente sarà anche il tormentone che permetterà ad alcuni candidati di vincere alle prossime elezioni. Se questa cosiddetta “orda di migranti nullafacenti e pericolosi” potesse leggere gli studi equilibrati sul fenomeno migratorio e le sue reali proporzioni, avrebbe una magnifica arma di lotta contro il populismo dilagante: lo sciopero. Perché se in Italia, per esempio, all’improvviso badanti, camerieri, fattorini, operai, contadini e una lunga serie di altri lavoratori stranieri incrociassero le braccia, ci troveremmo tutti – direttamente o indirettamente – di fronte a difficoltà mica da poco: chi rimetterebbe in piedi la macchina? Quale italiano si metterebbe al loro posto, con lo stesso stipendio e pari condizioni?

Mentre scrivo queste righe da Beirut mi accorgo che Fairouz fa lo stesso lavoro che avrebbe potuto fare a Milano, con due differenze: si trova a vivere in un Paese che ha accolto, suo malgrado, 2 milioni di rifugiati su 4 di abitanti. Come se l’Italia oggi ne accogliesse 30 milioni e non poche centinaia di migliaia. E la seconda differenza è che in Libano di populisti all’italiana non se ne vedono. Attenzione: nessuno è contento di questa situazione, ma i primi a non esserlo sono proprio i rifugiati, Fairouz a Beirut e Ahmad a Torino. Scappando e pietendo accoglienza, hanno lasciato indietro tutto e sono davanti a noi con le mani protese, quasi a chiedere la carità.

«Lasciateci vivere»: questa è la loro richiesta, non altro. Lasciateci vivere e non obbligateci a morire uccisi da ISIS, da una bomba, dalla malaria e annegati nel Mediterraneo o assiderati su di una collina ungherese. È chiedere troppo?