Raccogliamo gli aggiornamenti dal Kurdistan, dove AVSI lavora insieme a Caritas e Patriarcato Caldeo in favore delle tante persone in fuga dalla guerra.
Il vicino Islam reportage di A.Macchi su Terra! Rete4 con G.Silvestri
Leggi l'articolo di A.Macchi su zonedicrisi.tgcom24.it
Guarda le foto di P.Castellani su Avvenire
Il racconto di Giampaolo Silvestri, Segretario Generale Fondazione AVSI (da Repubblica.it)
ERBIL (Kurdistan iracheno) - Nei campi di Erbil, Dohuk e Zakho i bambini giocano nella polvere con quello che trovano. Sono loro le vittime più colpite e danneggiate dalla crisi umanitaria che ha prodotto più di due milioni di sfollati in tutto l'Iraq. L'emergenza nell'emergenza, il bisogno più grande appartiene a loro. E' l'educazione, che ancora una volta in un contesto di crisi rischia di essere negata.
L'ipoteca sul futuro. Anche qui in Kurdistan, come in Siria, la guerra ha posto una pesante ipoteca sul futuro di una intera generazione. Per le migliaia di bambini e ragazzi che vivono nei campi profughi, e che sono la futura classe dirigente di questi paesi, andare a scuola e ricevere un'istruzione e un'educazione adeguate sono l'unica possibilità di poter costruire un futuro diverso e tornare ad essere liberi. Solo, in un angolo in mezzo ai rifiuti, nei pressi dello sterminato campo di Sharia, c'è un bambino che sembra averlo già capito: rannicchiato con un libro sulle ginocchia studia inglese.
"Daesh" la parola per spiegare l'orrore. Il nostro arrivo a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, è stato diverso. Abbiamo incontrato una realtà a prima vista lontana dalla tragedia di cui da mesi si sente parlare sui giornali. Una città in espansione, in continua costruzione, piena di centri commerciali e lussuosi alberghi dove arabi e occidentali si mescolano e fanno affari. La cittadella è antichissima, il più antico insediamento abitato al mondo, e per questo patrimonio mondiale dell'umanità riconosciuto dall'Unesco. Ma Erbil, oggi, è la città dell'accoglienza. Luogo di rifugio per la maggior parte degli sfollati iracheni, in gergo IDP, Internally Displaced People. Sono arrivati a piedi dalla Piana di Ninive, costretti ad abbandonare le loro case e tutti i loro beni a causa dei violenti attacchi dei combattenti dello Stato Islamico. O meglio, per usare l'acronimo arabo: del Daesh. E' questa la parola che tutti ripetono, come una cantilena, per spiegare tutto l'orrore e il dolore di ciò che è capitato. Un'onda umana che si è riversata nelle zone del Kurdistan, protette dai peshmerga, i combattenti curdi, e dai soldati della coalizione occidentale, anche italiani.
Un aiuto per riguadagnare dignità. A seguito dell'appello lanciato la scorsa estate dal Vescovo di Baghdad, Monsignor Warduni, da circa 6 mesi Fondazione AVSI, Ong con all'attivo 137 progetti in 30 paesi del mondo, è al lavoro anche in Kurdistan, al fianco del Patriarcato Caldeo e di Caritas Iraq. L'intento è quello di portare aiuto e un primo soccorso a chi arriva, stremato dal viaggio, con ancora negli occhi la paura e il desiderio di poter ricominciare a vivere al sicuro. Le prime famiglie sono state messe al riparo in alcune abitazioni mesi fa. E' stato possibile pagar loro l'affitto solo grazie alla generosità di tante persone che in Italia non sono rimaste indifferenti davanti alla tragedia irachena e hanno scelto di donare quanto potevano. La garanzia di avere un tetto sulla testa ha permesso ai primi sfollati di potersi concentrare fin da subito sulla ricerca di un lavoro, con la speranza di poter lentamente ricominciare a mantenersi da soli e riguadagnare così una dignità umana, apparentemente sepolta dalla violenza e dall'odio.
Ogni giorno la lotta per trovare le medicine. Le case disponibili non sono sufficienti a coprire le numerose ondate di arrivi che si susseguono: il giardino della parrocchia di Mar Elia, nel quartiere cristiano di Ankawa, ha aperto i suoi cancelli e oggi ospita circa 400 persone che vivono sotto una tenda. Sempre a Erbil incontriamo suor Diana, responsabile del dispensario e clinica di emergenza che ogni giorno assiste oltre 300 persone. Ci racconta della sua fuga da Qaraqosh, lei stessa è una sfollata. Ci racconta di come ogni giorno è una lotta per trovare le medicine, i soldi per pagare i salari ai medici, nel tentativo di mantenere viva la speranza di chi ha perso tutto. Qualcun'altro ha trovato rifugio all'interno di edifici scolastici. All'epoca del primo flusso di sfollati erano chiusi per la pausa estiva, ma la crisi prosegue e loro sono ancora lì. Le scuole rimangono chiuse, si fanno lezioni dove e quando si può, al dramma dell'emergenza educativa si aggiungono le difficoltà legate all'educazione, legate ai bambini che non possono avere una scuola che possa definirsi tale.
E c'è chi a casa sua non tornerà più. A 80 km da Erbil c'è Mosul, seconda città d'Iraq, dalla quale sono fuggiti in migliaia, compresi tutti i cristiani. Tra questi anche monsignor Nona, vescovo della città, anche se ora la sua diocesi è stata cancellata, anche lui rifugiato a Erbil. Ci confida la sua preoccupazione più grande: "Noi abbiamo paura perché se continua così fra tre anni non ci sarà nemmeno un cristiano in Iraq. Non dimenticatevi di noi. I cristiani in occidente hanno una grossa responsabilità: devono essere bravi cristiani anche per noi, bisogna amare tutti". Uscendo da Erbil e spostandosi verso la provincia di Dahuk, a nord di Mosul, si intravedono colline completamente ricoperte di bianco: sono le ordinate tende dei campi profughi finanziati da vari governi e organizzazioni non governative. Una di queste colline, accoglie il campo di Sharia. Ci vivono oltre 28.000 persone. Per loro la speranza di tornare a casa non esiste più.
COSA FACCIAMO A ERBIL
Grazie all'aiuto di tanti che hanno contribuito alla nostra raccolta fondi, quasi tutti i rifugiati di Erbil hanno almeno un materasso su cui dormire. Ma l'emergenza non è finita, purtroppo: gli scontri continuano, il numero di profughi aumenta. Partecipa alla raccolta fondi di AVSI per sostenere e accogliere migliaia di sfollati nel Kurdistan iracheno, a Erbil, in fuga dalle violenze e i massacri dell'ultimo mese. Abbiamo bisogno dell'aiuto di tutti per riuscire a restituire alle migliaia di persone in fuga condizioni di vita dignitosa.