di Giampiero Rossi
La brand manager e l'assistente strategica si occupano dei pacchi viveri. Il direttore di divisione, invece, fa parte della squadra in tuta bianca che sta imbiancando lo stanzone accanto. In tutto sono quaranta «colleghi», nel senso sono tutti dipendenti della multinazionale farmaceutica Novartis, ma in ruoli diversi: dal manager al quadro, dal tecnico all'impiegato. E oggi la loro giornata lavorativa, regolarmente retribuita, non si consuma tra le mura aziendali, bensì nei due centri di accoglienza del Progetto Arca, in via Sammartini e in via Aldini a Milano. Niente marketing o ricerca sui farmaci, ma otto ore di volontariato al servizio degli immigrati.
Non è la prima volta che la multinazionale svizzera propone ai dipendenti di lasciare le scrivanie per un giorno e di andare a fare volontariato. Li chiamano Comunity partnership day e a livello mondiale sono arrivati all'edizione numero 23. E per questa giornata, intitolata It's time to share time («È tempo di condividere tempo»), dal personale del quartier generale di Origgio, in provincia di Varese, sono arrivate circa 200 adesioni. Alcuni hanno scelto di mettersi a disposizione dell'Unione italiana ciechi di Milano, altri sono andati a dare una mano tra i ragazzi disabili della cooperativa il Granello Don Luigi Monza a Cislago, altri ancora al Villaggio Sos di Saronno che ospita giovani in difficoltà. In quaranta, appunto, hanno voluto misurarsi con il complesso, doloroso e controverso mondo dell'immigrazione, una scelta meno «popolare». Perché? «Sono qui innanzitutto per capire io stesso», risponde Francesco Barbieri, appoggiando il rullo con cui stava imbiancando. Alla Novartis riveste il ruolo di responsabile della divisione Respiratory Franchise, il che significa che a lui fanno capo 200 persone. Ma oggi, in via Sammartini, è un volontario tra gli altri della squadra di imbianchini che risponde alle direttive di un rappresentante di Progetto Arca. «Mi sto rendendo conto che la rete che si occupa dei migranti è una macchina complessa, in cui si lavora tanto e bene. Sto osservando un interessante modello organizzativo che si occupa di queste persone». Si ferma e lo ripete: «Persone». Poi conclude: «E se prima avevo un po' di orgoglio nazionale, ora sono proprio contento di essere italiano».
Nello stanzone accanto, senza smettere di riempire e sigillare i pacchi viveri destinati alle famiglie in difficoltà, anche Anna Zaghi, ventottenne brand manager, e la trentenne Marta Girardelli (assistente strategica) si dicono convinte della necessità di fare qualcosa per «abbattere i pregiudizi» sugli immigrati. «Venite a vedere», mandano a dire a chi è spaventato e incattivito. E tengono a precisare: «Non siamo "buoniste", vorremmo soltanto contribuire a dare un segnale di empatia».
Tutti soddisfatti, dunque. A partire dalla Fondazione Avsi, sostenitrice dei due centri gestiti da Arca: «Giornate come queste favoriscono l'integrazione attraverso la conoscenza reciproca e l'ascolto di bisogni - commenta il segretario generale di Avsi, Giampaolo Silvestri - e questa è l'unica strada percorribile per costruire città vivibili per tutti».
Ma anche la multinazionale Novartis sottolinea l'importanza di questa giornata, che ha voluto, organizzato e finanziato: «Siamo consapevoli dell`impatto positivo che possiamo generare come azienda - spiega Pasquale Frega, che guida il gruppo in Italia - e questo ci spinge a restituire il più possibile alla società, anche attraverso iniziative come questa».