Corriere della Sera, di Giampaolo Silvestri, segretario generale Fondazione AVSI
Caro direttore, se davvero l'Italia è uscita dalle secche, si è disincagliata, come ha detto Renzi, è ora che prenda il largo. Ci vuole solo un po' di realismo e audacia. Il realismo che è virtù indispensabile per riconoscere delle esperienze in atto vincenti, per esempio a livello di cooperazione allo sviluppo, e replicarle. E l'audacia come spinta a tentare un passo sempre un po' più in là. I dati economici globali pubblicati nel bilancio del 2015 hanno lasciato intravedere una doppia e a tratti contraddittoria tendenza. Da una parte si rileva che, benché gli obiettivi del Millennio non siano stati centrati in pieno, è in corso un lento e progressivo miglioramento delle condizioni di vita; ma dall'altro ci sono emergenze tramutatesi in crisi che non trovano soluzione e gettano ombre sempre più tetre in alcune aree calde del mondo: si pensi al tema delle migrazioni forzate (60 milioni di profughi nel mondo), alla guerra in Siria o al Sud Sudan, sull'orlo del collasso dal giorno della sua proclamazione.
Ma nella trama drammatica si rintracciano anche i segni del contributo che l'Italia sta già offrendo e potrebbe offrire con maggior efficacia e consapevolezza. La nuova legge sulla cooperazione finalmente entrata in vigore dà la possibilità al nostro Paese di diventare un giocatore irrinunciabile nello scacchiere internazionale: elementi distintivi della legge sono l'introduzione dell'agenzia di cooperazione, la Cassa depositi e prestiti come banca di sviluppo che ha inserito la cooperazione come uno dei punti chiave, il ruolo di soggetti di sviluppo riconosciuto alle imprese, e l'importanza assegnata a società civile e ong. Tre esempi documentano che è ora che il nostro Paese sfondi il suo orizzonte, mostrando che sia dove ci sono convinzioni di sviluppo sia dove c'è crisi acuta, non mancano delle opportunità. Non sono idee, ma appunto esperienze compiute. A Bugala, isola sul lago Vittoria nella regione ugandese, dal 2014 è attivo un progetto innovativo che grazie a un finanziamento iniziale di Fondazione Cariplo ha permesso l'avvio di alcune imprese sociali agricole che nel rispetto di una natura prima abusata e favorendo la rigenerazione di risorse naturali, producono lavoro e reddito per la popolazione locale.
Un secondo esempio di business inclusivo con impatto ecologico e sociale viene da Maputo, capitale del Mozambico: qui un'impresa italiana, che commercializza crediti di carbonio, ha investito in un progetto di distribuzione-vendita di piani cottura a basso consumo energetico e meno inquinanti a circa 7.500 famiglie. Secondo l'Oms le morti per gli agenti tossici che si sviluppano in ambienti domestici per l'uso di stufe primitive supera quelle per malaria e Tbc. Così un simile intervento che conviene all'impresa italiana (per guadagno e nuovi mercati) sia anche generativa di un bene sociale, economico, ambientale.
Il terzo caso viene da una foresta del Sud del Libano: grazie a progetti di cash for work , i rifugiati siriani che vivono accampati in tende da anni hanno potuto lavorare al recupero di un'area verde, prima abbandonata, grazie a un impegno sostenuto dalla cooperazione italiana e guadagnare ogni giorno una ventina di dollari che, sebbene non reggano il confronto con i costi alti della vita là, permettono di recuperare la dignità offesa da una guerra infinita. Un modo di approcciare la questione rifugiati che valorizza il nesso tra il bene della persona singola, della sua famiglia e della comunità, che alla fine ha guadagnato un nuovo polmone verde.
Ecco perché il 2016 si presenta interessante per chi saprà osare: non si tratta di inventare da zero un ruolo di giocatore internazionale per l'Italia, ma semplicemente di essere leali con le abilità che si sono già manifestate e puntare su ciò che ultimamente conviene a tutti i protagonisti in campo. Il denominatore comune dei tre casi esposti, infatti, è che ci guadagnano tutti.