Battaglia di Mosul, un piano operativo per accogliere gli sfollati

Data 24.10.2016
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Il racconto del capo aerea di Avsi: «I bambini sognano già di tornare ma è pericoloso per le mine dell'Isis».
di Marta Serafini da Corriere della Sera

«A Mosul ora ci sono 30 gradi ma ci dobbiamo preparare a un'emergenza anche al di fuori dei campi e che durerà per tutto l'inverno». L'allerta arriva da Marco Perini, responsabile per il Medio Oriente della ong italiana Avsi che da due anni, assiste un migliaio di famiglie a Erbil.

Nelle ultime settimane tutte le agenzie umanitarie hanno avvertito del pericolo di una nuova catastrofe. Cosa vi aspettate?
«Sappiamo che Isis sta usando i civili come scudi umani all'interno della città. Ma il rischio è anche che gli sfollati rimangano intrappolati nella fascia di terra tra i due campi militari. Ecco perché, appena sono iniziati i combattimenti, abbiamo fatto un appello a tutte le organizzazioni cristiane affinché venga messo a punto un piano operativo che riguardi la prima fase di emergenza».
Si prevedono oltre 200 mila sfollati in questi giorni, 55 mila sono già arrivati. Mentre sono solo 60 mila i posti nei campi...
«Già. Va anche tenuto presente come negli ultimi due anni da Mosul e dalle zone vicine siano già scappate più di 400 mila persone. A questi si aggiungeranno i nuovi sfollati andando a complicare uno scenario già tragico. Può suonare cinico da dire ma per l'Iraq l'emergenza umanitaria ormai è una routine».
Dove vengono accolti i primi sfollati di Mosul?
«L'Ocha (l'ufficio delle Nazioni Unite che coordina gli affari umanitari, ndr) ha previsto un piano con 27 nuovi campi, che saranno coordinati dall'ufficio di Erbil. Ad essere interessata dai primi arrivi è soprattutto la parte Sud e Sud Est di Mosul. Ma si tratta — come gli stessi funzionari delle Nazioni Unite hanno spiegato — di un piano parziale».
L'Unicef ha lanciato un'allerta anche sui bambini. Preoccupano soprattutto le mine che Isis lascerà dietro di sé come già successo a Falluja. Questo renderà difficile il rientro dei profughi?
«Assolutamente. Quando nei nostri asili, che gestiamo con le suore domenicane si è diffusa la notizia dell'offensiva, molti bambini hanno iniziato a chiedere quando potranno tornare a casa. Ma è evidente come il ritorno sarà complicato dalle mine di Isis e dalle ritorsioni. Inoltre si verranno a creare nuove tensioni tra le diverse etnie e gruppi religiosi. Ecco perché pensiamo che sia giunto il momento di smettere di insegnare ai bambini solo l'inglese, come avviene nei campi. Forse dovremmo considerare l'idea che i curdi imparino l'arabo e viceversa. Perché è solo conoscendosi che si evita l'odio».