La “convenienza” della cooperazione allo sviluppo per i cittadini europei
La cooperazione allo sviluppo ha il suo core business nella difesa e nella valorizzazione della dignità della persona. Qui sta la sua forza e per questo “conviene” ai cittadini europei: la cooperazione allo sviluppo concorre a rispondere ai bisogni essenziali (salute, nutrizione, educazione, lavoro…) dei più vulnerabili nell’orizzonte degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda2030. Tale agenda ha ormai scardinato le vecchie distinzioni tra Nord ricco e Sud povero e impone un nuovo modo di guardare al mondo e allo sviluppo: o tutti sono protagonisti di sviluppo (in Europa e in Africa) o in un mondo globalizzato e interconnesso come il nostro non vi sarà vero sviluppo per nessuno.
La società civile protagonista della cooperazione
In questa partita giocano un ruolo irrinunciabile le organizzazioni della società civile europee e locali che, radicate nel tessuto sociale, sono in grado di raggiungere le fasce di maggior bisogno. Queste costituiscono il gancio tra infrastruttura sociale e persone vulnerabili (sussidiarietà orizzontale e non solo verticale). Il budget support, uno degli strumenti privilegiati dall’Europa nel fornire aiuti ai governi, troppo spesso non tiene conto della effettiva realtà locale. Per questo serve un coinvolgimento delle organizzazioni della società civile in tutte le fasi del progetto, dalla formulazione dell’idea progettuale sino all’implementazione dei servizi di base, di controllo e watchdog. Esse garantiscono la cura di rapporti diretti con beneficiari e tessuto sociale locale, capillarità e presenza sul terreno, iniziativa e capacità di innovazione, aspetti che le branch dei grandi gruppi internazionali (che pur hanno più strumenti per acquisire i finanziamenti e spesso sono agevolati per processi di semplificazione) non sono in grado di offrire, a svantaggio dell’impatto positivo finale. Le organizzazioni della società civile fungono inoltre da cerniera tra comunità locali e imprese, aiutano il private sector a inserirsi nel contesto locale, valorizzano iniziative produttive già in essere.
La cooperazione, una pluralità di attori
L’internazionalizzazione delle imprese e la cooperazione allo sviluppo sono due percorsi sempre più convergenti, da sostenere con strumenti per affrontare il rischio economico e mitigare il rischio sociale. Le organizzazioni della società civile possono fornire formazione tecnica, professionale e umana al capitale umano necessario alle imprese per investire in paesi terzi; possono offrire strumenti e accompagnamento nei percorsi di due diligence per piccole e medie imprese e collaborare a studi di impatto e progettazione di interventi di mitigazione (es. energia, industrie estrattive, etc.). L’Europa si presenta come soggetto privilegiato per favorire multistakeholder partnership in cui ciascun attore, dalla organizzazione della società civile sino al beneficiario, dai governi al settore privato, alle banche di sviluppo, svolga la parte che gli è propria.
Opportunità da non perdere
Il prossimo bilancio europeo 2021-2027 è ormai in definizione e in esso l’Europa è chiamata a tenere in considerazione fenomeni trasversali e globali quali: tassi di sviluppo demografico sempre più alti nei paesi in via di sviluppo e bassi nella maggioranza dei Paesi europei; una crescita economica che non sempre crea lavoro o a cui non corrisponde un’equa distribuzione dei vantaggi che produce; l’aumento delle disuguaglianze; il rapido inurbamento di molte aree del pianeta; i cambiamenti climatici che incidono sulle condizioni di vita di molti popoli. A questo si aggiungono l’impegno dell'Agenda 2030 sempre più incalzante, gli accordi Post-Cotonou, così come l’Africa-Europe Alliance for Sustainable Investment and Jobs, tutte occasioni da non perdere per l’Europa per costruire un futuro sostenibile e per definire una nuovo rapporto di reciprocità con i paesi in via di sviluppo. Ma questo orizzonte chiede una cooperazione dei popoli tra popoli, non tra burocrazie, che dia la priorità ai bisogni di base.
Partnership con l’Africa, anche sulle migrazioni
Il tema delle migrazioni che tante divisioni ha creato e continua a creare a tutti i livelli, da quello sociale a quello politico ed economico, può essere affrontato in modo nuovo se si avvia e concretizza una nuovo partnership alla pari con l’Africa. Molti paesi africani, infatti, da anni sperimentano varie forme di accoglienza e integrazione di profughi e rifugiati che arrivano da oltre confine. Hanno ormai esperienze e buone pratiche che possono essere di aiuto all’Europa che ancora si manifesta impreparata rispetto alla capacità di accogliere, ma soprattutto integrare. Questo il punto più critico della vicenda su cui occorre lavorare: l’accoglienza dei migranti senza cura per la loro integrazione, senza piani a lunga scadenza e garanzie di tutela per la comunità accogliente, alimenta paura e senso di insicurezza, arrivando a generare fenomeni di violenza e xenofobia. Un lavoro serio su questi tre temi (accoglienza degli immigrati-integrazione-sostegno alla comunità ospitante) non è più rinviabile.
Trasparenza, partecipazione, risultati
Va presa sul serio la domanda di trasparenza sempre più impellente da parte dei cittadini e la risposta può venire solo da istituzioni europee più efficaci ed efficienti. Per raggiungere questo obiettivo, non basta un’azione sola, ma urge un concorso di fattori quali: assegnare potere di iniziativa legislativa al Parlamento; verificare il recepimento da parte della Commissione delle indicazioni del Parlamento; allargare lo spazio partecipativo delle organizzazioni della società civile attraverso consultazioni pubbliche; comunicare i risultati delle valutazioni di impatto nelle consultazioni pubbliche; ridurre il ricorso a procedure di gare per servizi per società di consulenza in ambiti tradizionalmente più adatti all’intervento della società civile; limitare il ricorso massivo al sistema UN, trust fund, fondi globali dando specificità e visibilità europea ai fondi impiegati in questa modalità; informare i cittadini sulla destinazione e sull’impiego dei fondi, in particolare evidenziando quanto destinato direttamente alla risposta ai bisogni di base e quanto invece ad attività come advocacy, controllo, campagne di comunicazione.