Otto esplosioni in meno di un giorno hanno avuto luogo in un'area lungo i confini con la Siria, dove vivono 5mila libanesi e 30mila profughi siriani. Gente che ha bisogno di aiuti quotidiani per sopravvivere.
di Marco Perini responsabile per Fondazione AVSI in Libano, Siria, Iraq, Giordania, da La Repubblica 28 settembre 2016
BEIRUT - All'attacco terroristico all'aeroporto di Istanbul fanno eco gli otto uomini-bomba che si sono fatti esplodere in Libano, nell'arco di 24 ore. Quattro hanno colpito prima dell'alba e altri quattro verso sera, lasciando 5 morti e 15 feriti: un primato tragico, non del tutto sorprendente, per Qaa, un villaggio a maggioranza cristiana della Bekaa, la striscia di terra che corre lungo il confine a Nord-Est tra Libano e Siria. Qaa conta 5.000 abitanti e ospita 30.000 rifugiati: una sberla alla reticenza di certa parte dell'Occidente, una convivenza stretta e tesa proprio al di qua del confine con il Paese in guerra da cinque anni, in una zona dove si prova a vivere con il lavoro della terra.
Decine di polveriere pronte a saltare in aria. Ma la sproporzione esagerata tra indigeni e persone accolte non è un'eccezione di Qaa: la si riscontra in molti altri villaggi libanesi ormai sovraffollati, in particolare nelle zone di frontiera. Ma quello che è successo ieri è stato un campanello d'allarme che supera le porte di Qaa e si allarga a tutto il fragile e instabile Libano: vicino al villaggio colpito dagli otto terroristi suicidi c'è Raas Baaalbeck e Arsal, circondata dall'esercito che tenta di impedire che i terroristi si confondano con la popolazione e possano colpire in tutto il resto del Paese. Sono decine le polveriere pronte a saltare in aria.
Un segnale preoccupante. Quello che è accaduto nel piccolo paesino della Bekaa potrebbe rappresentare il primo caso di rottura della capacità di accoglienza libanese che ha del “miracoloso”: dura da cinque eterni anni (si calcola che 2 milioni di persone trovino rifugio nel Paese dei cedri che ha 4 milioni di abitanti), nel contesto di grande tensione interna tra forze politiche che non riescono da due anni neppure a eleggere il Presidente. I primi segnali della crepa con la giornata di ieri da ieri sono divenuti visibili anche a chi finge di non vedere cosa è in gioco.
"Se vedete sconosciuti non esitate a sparare". Ha avuto luogo una riunione d'urgenza del consiglio dei ministri, mentre la città di Hermel e altre vicine hanno imposto il coprifuoco per i prossimi tre giorni per i rifugiati: nessun siriano può uscire di casa. Ieri notte, il sindaco di Qaa in diretta tv allertava tutti i suoi concittadini con parole chiare: «Se vedete degli sconosciuti nei pressi delle vostre case non esitate a sparare». Eppure proprio qui, lungo i confini oggi sempre più porosi di armi e di violenza, vivono decine di migliaia di persone che hanno bisogno di aiuti quotidiani per andare avanti.
Un'alternativa al nulla. In mezzo a loro opera dall'inizio della guerra AVSI, Ong internazionale, sia attraverso visite quotidiane ai profughi siriani in collaborazione con una Ong libanese, sia attraverso campagne di sensibilizzazione in decine di villaggi della Bekaa, per far sapere ai giovani senza lavoro (sia libanesi che siriani) che esiste la possibilità di partecipare a una scuola di formazione agricola. Un'alternativa al nulla che si sta divorando una generazione intera. Solo che questi giorni di fuoco stanno impedendo i movimenti a chi può portare aiuti e così recidono i nessi tra questa realtà di paura e minaccia e la possibilità di un futuro.