Apac: un carcere senza carcerieri

Data 19.02.2018

di Roberto Zichittella - foto Antonello Veneri

«Qui entra l'uomo, il reato resta fuori». È la scritta che si legge all'interno delle carceri Apac, in Brasile. Apac significa Associazione di protezione e assistenza ai condannati. Questa è la definizione tecnica. Ma c'è anche una definizione del cuore, o della fede, che suona: «Amando il Prossimo, Amerai Cristo». La caratteristica di queste carceri è quella di offrire un'alternativa al tradizionale sistema penitenziario. I detenuti sono in cella, ma non ci sono poliziotti e agenti penitenziari. Sono gli stessi detenuti a tenere le chiavi del carcere, a occuparsi della pulizia, dell'organizzazione, della disciplina e della sicurezza, in collaborazione e cogestione con i responsabili Apac, i volontari e il personale amministrativo.

Si tratta di una scelta coraggiosa in un Paese che è il quarto al mondo per numero di detenuti, dopo gli Stati Uniti, la Russia e la Cina. Le carceri brasiliane sono anche fra le più violente al mondo. Nel 2016 sono stati 372 gli omicidi commessi all'interno degli istituti di pena del Brasile. Nel 2017, solo nella prima settimana dell'anno, le sanguinose rivolte nelle carceri di Manaus e di Roraima avevano provocato la morte di oltre cento detenuti, molti dei quali erano stati decapitati. Queste esplosioni di violenza sono dovute in larga parte al sovraffollamento delle prigioni e alla rivalità fra le varie bande criminali, che dalla strada si sposta all'interno delle case di reclusione. Le armi, sia da taglio che da fuoco, entrano nelle celle con grande facilità. Nel 2000 i detenuti rinchiusi nelle carceri del Brasile erano 232.755. Nel 2014 sono quasi triplicati, con un numero di reclusi che superava i 622 mila (di cui circa 250 mila in attesa di giudizio). Nella prigione di Roraima, dove il 6 gennaio 2017 sono morti 33 detenuti, c'è spazio per 600 persone, ma il numero supera i 1.400. Nelle prigioni dello Stato di San Paolo, una sola guardia carceraria dovrebbe tenere sotto controllo fra i 300 e i 400 detenuti, ma in pratica si trova impotente quando esplode una rivolta. In queste condizioni le carceri diventano quasi sempre un parcheggio per criminali che, se sopravvivono alla detenzione, una volta in libertà, tornano a delinquere. La rieducazione dei condannati diventa una missione impossibile. La situazione dei penitenziari brasiliani non era molto diversa negli anni Settanta, quando l'avvocato Mario Ottoboni riunì un gruppo di volontari per coinvolgerli nella pastorale del carcere di Sào José dos Campos. Nel 1974 Apac divenne un'organizzazione senza fini di lucro e iniziò la collaborazione con l'amministrazione penitenziaria nel tentativo di migliorare il sistema carcerario. Alcuni giudici cominciarono così ad affidare all'organizzazione prima la gestione di alcuni padiglioni, poi dell'intero carcere di ltaúna, nello Stato di Minas Gerais, dove oggi si concentra la maggior parte delle cinquanta carceri di questo tipo. Entra nelle Apac (riconosciuta oggi come organo ausiliario del potere giudiziario) chi ha già trascorso un certo periodo nel carcere convenzionale, su disposizione del giudice di sorveglianza e previo impegno sottoscritto dal detenuto di rispettare le regole della struttura: svolgere turni di lavoro, occuparsi personalmente della manutenzione del carcere, rispettare tempi e orari quando avrà la semi-libertà e poi la libertà piena (che implica la possibilità di trascorrere il week-end fuori), e mantenere un comportamento irreprensibile.

«In queste carceri abbiamo scoperto che anche nei criminali che hanno commesso reati di ogni tipo non va mai persa la dignità della persona», dicono Fabrizio Pellicelli e Jacopo Sabatiello, rispettivamente presidente e vicepresidente di AVSI Brasile, che collabora con Apac dal 2009. Molti dei progetti che sta realizzando sono finanziati dall`Unione europea nell'ambito dello Strumento europeo per la promozione della democrazia e diritti umani.

«Le carceri Apac sono luoghi di bellezza e dignità, dove si fa un vero recupero delle persone», dice Pellicelli. Il metodo si basa su dodici punti, fra questi, la partecipazione della comunità locale, l'aiuto reciproco fra i "recuperandi", il lavoro, il coinvolgimento della famiglia, la spiritualità.

«La giornata», spiega Sabatiello, «comincia alle 6,30 con la sveglia, alle 7 si prega tutti insieme (queste prigioni sono aperte a detenuti di ogni fede), poi colazione, lavoro, pranzo, ancora lavoro, un momento ricreativo e studio per chi deve completare i cicli scolastici». Soprattutto nel fine settimana, giocano un ruolo importante le famiglie dei detenuti, coinvolte in varie attività insieme con i loro cari.

«In carcere le persone arrivano a pezzi, destrutturate. Questa esperienza insegna che gli uomini, qualunque sia il crimine che hanno commesso, possono essere ricostruiti e riconsegnati alla società», conclude Fabrizio Pellicelli. «Altri Paesi dell'America latina stanno adottando, anche in forma parziale, il metodo Apac incoraggiati dai risultati dell'esperienza brasiliana. I tassi di recidiva sono nettamente inferiori a quelli dei detenuti delle carceri comuni. Bassissimi anche i casi di evasione. Come disse una volta Josè, un detenuto più volte evaso e poi finito nel carcere Apac di Itaùna, dove la smise di evadere, "nessuno fugge dall'amore"».

Criminalità in aumento

«Nonostante l'impegno delle autorità locali e i progressi registrati in alcune aree, occorre mantenere in tutto il territorio brasiliano elevata vigilanza e condotte ispirate a prudenza a causa dell'alto tasso di criminalità, aggravato da un diffuso ricorso all'omicidio anche per futili motivi».
È l'avvertimento che si legge nella scheda dedicata al Brasile sul sito Viaggiare sicuri, curato dall'Unità di crisi della Farnesina, il ministero degli Esteri italiano. La situazione critica delle carceri brasiliane nasce anche anche dalla diffusione della criminalità. Questa tocca soprattutto le aree urbane come San Paolo, Rio de Janeiro, Fortaleza, Recife, Salvador e la stessa capitale, Brasilia. A parte la grande criminalità, è diffusa la delinquenza da strada e nelle spiagge. Spesso i malviventi praticano anche dei sequestri lampo di persona a scopo di estorsione. Il grande crimine organizzato è in mano, soprattutto, alle bande dei narcotrafficanti, attive in due ambiti: le favelas e le prigioni. A Rio le autorità hanno varato un programma di pacificazione delle favelas nel tentativo di ricondurle sotto il controllo delle forze dell'ordine. Metterlo in pratica non è facile. Ci sono molte resistenze e non mancano le sparatorie. Il numero degli omicidi è aumentato in tutto il Brasile anche nel 2017. Nel primo semestre ci sono stati oltre 28 mila omicidi, con una media di 155 morti al giorno.