Alberto Piatti: “La società civile per salvare l’Africa”

Data 08.01.2014
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Il Presidente di Fondazione AVSI interviene nel dibattito su Avvenire riguardo il futuro della cooperazione in Africa. "Limite delle politiche di sviluppo è l'incapacità di raggiungere l'ultimo miglio e di soddisfare le necessità immediate delle persone"

Il 29 dicembre, il quotidiano Avvenire ha pubblicato la lettera al direttore del Ministro Emma Bonino, in cui si manifestava l'intenzione di rilanciare la politica italiana in Africa. "Riaccendere i riflettori sul continente africano - proponeva il Ministro degli Esteri italiano - e innescare una dinamica di costante attenzione che copra tutti gli ambiti di collaborazione, dalla politica alla nazione, dai diritti umani allo sviluppo sostenibile".

Alcuni giorni dopo, la risposta, sempre sulle pagine del quotidiano Avvenire, del presidente di Fondazione AVSI Alberto Piatti rimarcava l'importanza del ruolo della società civile all'interno dei metodi di approccio alle politiche di cooperazione allo sviluppo.

Per aiutare l'Africa occorre passare dalla società civile non dagli Stati - di Alberto Piatti*

Caro direttore, sono anch'io grato ad Avvenire per l'attenzione che riserva da sempre all'Africa, e proprio per questo vorrei condividere con lei e con gli amici lettori alcune brevi considerazioni sulla lettera pubblicata il 29 dicembre scorso a firma di Emma Bonino, ministro degli Affari Esteri, che nascono dalla presenza della Fondazione Avsi in 14 Paesi africani.

Innanzitutto, è molto positiva l'attenzione che il ministro annuncia per il prossimo futuro. È vero, la cooperazione italiana ha fatto molto in Africa e in particolare nell'area sub-sahariana. Colgo nel proposito del ministro un approccio complessivo dei diversi attori, che possiamo chiamare “Sistema Paese", e questo approccio mi pare realistico anche in considerazione della proporzione delle risorse in gioco: ogni 2 dollari mobilitati dal sistema pubblico nazionale e internazionale, il settore privato ne muove 8.

Con lo stesso realismo dobbiamo osservare che le politiche di cooperazione allo sviluppo a livello mondiale hanno mostrato molti limiti, non tanto per la limitatezza delle risorse dedicate, ma molto di più per il metodo di approccio. Il limite grave di tutte le politiche per lo sviluppo, le grandi "infrastrutture sociali" di riferimento come gli "obiettivi del millennio", mostrano la loro fragilità nell'ultimo miglio, e cioè nella capacità di raggiungere la singola persona e le sue necessità immediate.

Secondo un recente rapporto della Banca Mondiale, in diversi Paesi africani, l`accesso alle scuole primarie del 52% dei bambini e delle bambine è garantito da una realtà di "privato sociale" di ispirazione religiosa, e in particolare è frutto del lavoro di tanti missionari. Sempre secondo lo stesso rapporto della Banca Mondiale, gli alunni di queste scuole hanno i migliori risultati scolastici nei rispettivi Paesi. Una osservazione del tutto analoga si può fare per quando riguarda all`accesso alle cure sanitarie di base, che in alcuni Paesi arriva al 60% della popolazione.

Purtroppo queste realtà, espressione di una società civile significativa e vitale non vengono adeguatamente tenute in considerazione, privilegiando l`interlocuzione quasi esclusiva con gli Stati. Così, mentre in Europa cerchiamo di fare politiche sussidiare e liberali, per uno strano strabismo politico siamo statalisti nei rapporti con i Paesi terzi, con politiche di supporto diretto al bilancio statale. Il grande investimento di cui necessita l`Africa è l`investimento nella libertà e dignità delle persone e questo lo si fa solo coprendo l'ultimo miglio, arrivando alla singola persona. Lo Stato non è in grado di farlo.

Auspichiamo perciò che l`iniziativa Italia-Africa non si rivolga soltanto ai governi, ma li induca a valorizzare il lavoro messo in atto dalla società civile, dalle Ong, dalle realtà missionarie, evitando quel processo di statalizzazione che è già pericolosamente e da tempo in essere.

*presidente Fondazione Avsi