La peggior crisi alimentare nel mondo in questo momento. Una crisi alimentare che rischia di diventare una carestia, come risultato del conflitto in corso, qui in Sud Sudan. Cerco le definizioni di “crisi alimentare” e di “carestia”. Dovute entrambe all'impossibilità di coltivare o ai cattivi raccolti.
La Guerra, fatta da mano umana, ammazza con le bombe e i proiettili e ammazza la terra. Fonti di vita, terra e acqua. Uomini e donne non le possono utilizzare. L'Africa ne è piena, il Sud Sudan, soprattutto al sud, ha una natura rigogliosa. Oggi la natura rigogliosa è sterile, perché mano umana non può darle vita.
AVSI in Sud Sudan. Quello che facciamo è continuare a pensare, pensare continuamente a come fare, oltre a quello che già facciamo. La risposta che danno le UN o i grandi donatori è “distribuzione di cibo”. Ci ho pensato tante volte, cosa distribuiscono? Mi sono immaginata sacchi di granaglie o di cibo nutritivo per bambini, distribuito con i camion, oppure con gli aerei, in volo. A Leer, nello Stato dello Unity, dove il conflitto continua ad essere feroce, ci hanno raccontato che le poche organizzazioni non governative che ci sono distribuivano il cibo nei villaggi andando a piedi.
La fame. Qualcosa che percepiamo anche noi, che qui lavoriamo e riusciamo ad avere una vita. La vediamo la fame. La fame la vedi perché vedi la gente che ha fame e perché vedi i mercati, vuoti. L'unica cosa che riesci a dire è che “non c'è niente” “qui non c'è niente”. Vai al mercato e sui banchetti trovi qualcosa: banana, ananas, papaya, avocado, limoni, zucchini, melanzane, pomodori, arance. Basta. Poche. A volte ci sono a volte no. Fi la spesa e sai che arriva tutto da Kenya e Uganda. Questa terra non produce niente. C'è qualcosa da mettere sotto i denti, si. C'è. Anche la gente nei villaggi ce la fa a trovare fagioli e pocho, una polenta fatta di sorgo, immangiabile, senza sapore.
Ma mi chiedo, è questo che significa mangiare? Nutrirsi? Non basta. Una terra che non produce perché c'è la Guerra che fa scappare le persone, e le persone non si affezionano a questa terra e non la curano. Cosi come non si affezionano a se stessi, e non se ne curano. Una vita che vale poco dove non c'è una terra a cui appartenere, una terra nel senso vero, proprio la terra, il terreno, quello che nella stagione secca diventa polvere che ti ritrovi dappertutto a fine giornata. Una terra sterile, perché non può avere un rapporto buono con l'Uomo. Quello che trovi al mercato c'è ma non ti basta.
Proviamo a pensare a dei centri nutrizionali, dove le donne abbiano tempo di un pensiero buono sulla cura di se stesse e dei loro bambini. Pensiamo a questo, invece che a distribuire cibo. Perché ci sia un attaccamento alla terra, a loro stessi, alla comunità, alla famiglia. In mezzo alla Guerra, nutriamo l'Umano, questo ci è venuto in mente un giorno. Sembra da pazzi, ma suona più bello di un sacco di sorgo da dividere tra gente disperata.
Anna Sambo, responsabile progetti AVSI Sud Sudan